Roma, 13 settembre 2023 – Si avvia alla conclusione il processo, nel quale anche ANMIL è presente come parte civile, per la tragedia sul lavoro consumatasi a Crotone il 5 aprile 2018 che causò la morte di tre operai travolti dal crollo di un muro del cantiere mentre erano impegnati nei lavori di ampliamento del lungomare di viale Magna Grecia.
Il pubblico ministero, Andrea Corvino, alla fine della sua requisitoria, ha chiesto per gli imputati cinque condanne per omicidio colposo plurimo in violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Nello specifico, il pm ha proposto 6 anni di reclusione per Sergio Dinale, architetto firmatario del Psc (Piano di sicurezza e coordinamento), progettista dell’opera nonché direttore dei lavori e coordinatore della sicurezza in fase di progettazione (Csp) e in esecuzione (Cse); 5 anni e 6 mesi per Gennaro Cosentino, rappresentante legale dell’impresa Crotonscavi Costruzioni generali S.p.a., incaricata dal Comune di eseguire i lavori, appaltatore delle opere, redattore del Pos (Piano operativo di sicurezza), datore di lavoro di fatto e di diritto e direttore tecnico della ditta; 5 anni ciascuno per Massimo Villirillo, dirigente e procuratore della società, a cui erano conferiti specifici poteri in materia di vigilanza e organizzazione del lavoro, e Giuseppe Spina, pure lui di Crotone, capocantiere preposto della ditta; 3 anni e 6 mesi per Giuseppe Germinara, ex dirigente del settore Lavori pubblici del Comune e responsabile del procedimento in fase esecutiva.
Durante la requisitoria il pm ha ripercorso le omissioni che, secondo l’accusa, sono all’origine del dramma ritenendo che “non sposta nulla” se il crollo sia stato causato da fattori come le piogge intense o il passaggio di mezzi pesanti o la rimozione del basamento o le trivellazioni a due metri dal muro e a dieci metri di profondità. Dal combinato disposto delle possibili concause emerse dall’istruttoria. quello che rileva, ha sostenuto il pm ripercorrendo l’esito delle consulenze dell’accusa ma anche della difesa oltre che le testimonianze degli imputati, è che la precarietà della struttura era un “dato conoscibile”, essendo evidente dai resti di un precedente crollo che il muro non era armato, eppure “in nessun elaborato tecnico viene valutato il rischio” né è stata mai fatta l’analisi dei campioni da cui sarebbe emersa la “pessima composizione”.
Nessuna misura, ribadisce il pm, è stata pertanto adottata per evitare la tragedia, dunque, perché tre persone non sarebbero morte se il muro fosse stato “puntellato, ingabbiato, demolito”. Quel muro “andava messo in sicurezza” perché il suo crollo non è stato determinato da fattori eccezionali o imprevedibili. Le piogge o il passaggio dei mezzi sono eventi ordinari, non c’è stato un terremoto e non è caduto un fulmine ed era pertanto certo che il muro sarebbe crollato.
Nella richiesta di rinvio a giudizio si legge che “l’evento si verificava perché –nell’ambito dell’esecuzione delle opere pubbliche di “Riqualificazione Urbana Litorale”, nel corso delle lavorazioni di un nuovo muro di contenimento a valle del preesistente (a circa 2,5 metri), veniva trascurata la situazione di fatto costituita dalla presenza di un basamento in cemento la cui rimozione, e successiva asportazione del terreno sottostante (per circa 70 cm di profondità), senza previa valutazione e senza cautele, comprometteva l’equilibrio statico del muro poi collassato, privo di fondazioni, da cui conseguiva una concreta situazione tale che un’occasionale, minima causa perturbativa, quale la vibrazione indotta da un mezzo di cantiere ovvero la presenza di una zona maggiormente scavata al piede, già scalzata per la rimozione del basamento, ne provocava il rovinoso ribaltamento”.
Il processo proseguirà ora con le conclusioni delle difese delle altre parti in giudizio.
Processo Crotonscavi: 5 condanne chieste dal pm per 3 operai morti
