Roma, 17 settembre 2021 – Tutti gli aspetti della vita sociale ed economica della nostra popolazione sono stati profondamente sconvolti dalla pandemia da Covid-19 che, raggiunto il picco nei mesi di marzo e aprile 2020, ci aveva fatto illudere nei mesi estivi con la curva dei contagi in netta discesa, per poi riprendere con rinnovata e maggiore virulenza nei mesi di settembre e ottobre e proseguire con ritmi ancora più intensi nei mesi successivi dell’anno. La curva dei contagi si è protratta poi con alti e bassi anche nel 2021, fino ad assestarsi su livelli meno preoccupanti negli ultimi mesi. Il bilancio dell’azienda Italia, che presentava un’economia già di per sé molto fragile, si è ulteriormente aggravato: nel 2020 il crollo del PIL (-8,9% rispetto all’anno precedente) e della produzione industriale (-11,4%) hanno inevitabilmente trascinato verso il basso l’occupazione. Nello stesso anno si è registrata una riduzione degli occupati del 2,8%, corrispondente a un calo delle unità di lavoro del 7,1% e delle ore lavorate del 7,7%. In termini assoluti, circa 444.000 persone occupate in meno rispetto all’anno precedente, di cui oltre il 70% (312.000) donne. Tutto questo non poteva non ripercuotersi, in misura diversificata, ma comunque molto significativa, sui vari aspetti del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
Per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro, la contrazione della forza lavoro ha comportato una drastica riduzione delle denunce che è sta però in parte compensata dall’avvento di una nuova tipologia di infortunio: l’infezione da Covid in ambito lavorativo, che è stata assimilata a infortunio lavorativo dalla L.27 del 24 aprile 2020, sulla base del consolidato principio giuridico che equipara la causa virulenta dell’agente infettivo alla causa violenta propria dell’infortunio.
L’impatto delle infezioni da Covid è stato più consistente e determinante sul bilancio degli infortuni mortali che, nel 2020, hanno rappresentato oltre un terzo dei 1.538 casi denunciati, generando un aumento dei decessi pari al 27,6 % rispetto al 2019; mentre per gli infortuni la componente da Covid ha solo contribuito a limitare il calo complessivo che si è fermato all’11,4% (altrimenti molto più corposo).
Per quanto riguarda, invece, le malattie professionali, i dati del 2020 indicano un calo notevole delle denunce in confronto al 2019: poco meno di 45 mila, in diminuzione del 26,6% rispetto alle oltre 61.000 dell’anno precedente, circa 16.000 casi in meno. La flessione ha riguardato tutte le patologie da lavoro con riduzioni molto consistenti soprattutto per le Malattie cutanee (-48,5%), le Malattie respiratorie (-36,8%), i Tumori (-36,2%), le Malattie dell’orecchio (-31,6%) e i Disturbi psichici (-30,8%). Consistente anche il calo delle Malattie del sistema nervoso (-23,6%) – costituite in gran parte da Sindromi del tunnel carpale – e delle Patologie dell’apparato osteo-articolare (-25,8%) che rappresentano comunque la stragrande maggioranza (68%) di tutte le malattie professionali denunciate.
Anche sull’andamento delle malattie professionali nell’anno 2020, che è in netta controtendenza con il trend dell’ultimo quinquennio (che si è mantenuto sostanzialmente stazionario sui 60.000 casi annui), ha influito pesantemente l’emergenza pandemica.
Va detto, a tale proposito, che l’intero sistema sanitario nazionale, investito pesantemente dalla tempesta Covid, ha dovuto concentrare tutti gli sforzi verso questa nuova gravissima emergenza e mettere in secondo piano tutte le altre patologie. Si è assistito, pertanto, a un brusco rallentamento dei ricoveri non strettamente necessari e al rinvio di visite ambulatoriali per i pazienti non Covid che, proprio a causa dell’emergenza pandemica, non hanno potuto – o voluto, per timore di contagiarsi – ricevere adeguati e tempestivi trattamenti sanitari.
Una ricerca dell’Università Liuc stima, sulla base dei dati forniti dalle aziende sanitarie pubbliche e dall’Agenzia nazionale dei servizi sanitari (Agenas), che nel 2020 gli italiani hanno ricevuto 73 milioni di prestazioni specialistiche in meno rispetto all’anno precedente e i ricoveri no-covid sono calati di circa un quarto. Sempre nel 2020 le mammografie sono diminuite del 32%, con punte particolarmente elevate in Lombardia e Sardegna dove si sono praticamente dimezzate; anche gli screening di colon e retto e le terapie per malattie gravi hanno risentito del rallentamento delle attività ordinarie e della riconversione in terapie intensive di interi blocchi di sale operatorie. Il prezzo di questa situazione si vedrà nei prossimi anni.
In questo contesto generale, anche gli ambulatori INAIL, che di solito provvedono a fornire agli infortunati sul lavoro una sollecita assistenza sanitaria, fornendo diagnosi e prime cure, hanno incontrato grosse criticità ed espresso operatività molto ridotte.
In definitiva, si può affermare che il 2020 è stato un anno del tutto eccezionale per le malattie professionali e che i dati attestanti il calo delle denunce in questo particolare periodo non sono affatto significativi. C’è da considerare, inoltre, che le tecnopatie, al contrario degli infortuni che sono eventi traumatici ad effetto immediato, richiedono tempi di latenza più o meno lunghi (per le neoplasie da asbesto, ad esempio, si arriva addirittura a 30/40 anni) prima di manifestarsi ed essere quindi denunciate all’INAIL. È da presumere, pertanto, che molti lavoratori che hanno accusato patologie lavorative durante questi mesi di emergenza sanitaria, abbiano ritenuto opportuno rinviare le denunce con il proposito di recuperarle in tempi successivi e in condizioni ambientali meno critiche.
Infatti, già nei primi 7 mesi del 2021 si è registrata una crescita delle denunce di tecnopatie di ben il 35% rispetto allo stesso periodo del 2020 (da 25.000 a 34.000 circa): numeri che lasciano prevedere che già il bilancio annuo 2021 potrebbe attestarsi su livelli pari, se non superiori, a quelli pre-Covid.