19 dicembre 2022 – Nel nostro Paese l’occupazione sta tornando a crescere, ma il divario di genere resta ampio. E’ quanto evidenziato dall’INAPP, Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, nell’ambito del gender Policies Report 2022, la pubblicazione che ogni anno fotografa le differenze di genere nel mondo del lavoro, presentata oggi a Roma.
Pur avendo toccato quota 60,5% lo scorso ottobre, il valore più alto dal 1977, i tassi di occupazione di uomini e donne continuano a restare distanti (rispettivamente 69,5% e 51,4%) con un gap di genere di quasi 18 punti percentuali.
Il tasso di disoccupazione femminile è al 9,2% contro il 6,8% degli uomini, divario che aumenta per i giovani fra i 15 e i 24 anni con tassi del 32,8% per le ragazze e il 27,7% per i ragazzi. Anche la sfera della non partecipazione vede ancora penalizzate le donne con un tasso di inattività del 43,3 % contro il 25,3% degli uomini.
“Malgrado la crescita – ha dichiarato Sebastiano Fadda, presidente dell’INAPP – restano immutati i gap di genere nel mercato del lavoro e le criticità strutturali che determinano la bassa partecipazione femminile: occupazione ridotta, prevalentemente precaria, part time e in settori a bassa remuneratività o poco strategici”.
I dati relativi al primo semestre del 2022 confermano la specificità femminile del part time come forma di ingresso al lavoro. Su tutti i contratti attivati a donne il 49% è a tempo parziale contro il 26,2% maschile. Tipicamente femminile è, ancora, la condizione di “debolezza rafforzata” ossia la presenza di due fattori di criticità associati: la forma contrattuale precaria e il tempo parziale.
Anche i dati sulla conciliazione vita-lavoro evidenziano un mercato del lavoro italiano più rigido della media europea. Le donne, sia in Europa che in Italia, godono di minore flessibilità rispetto agli uomini. Nel nostro Paese tale difficoltà si coglie soprattutto per le lavoratrici laureate, per cui tali indicatori sono sopra la media Ue. Ma soprattutto le lavoratrici sono meno coinvolte nell’organizzazione degli orari di lavoro: in Italia nel 76% dei casi è il solo datore di lavoro a decidere l’orario di ingresso e uscita dal lavoro, contro una media UE27 del 57%, rispetto a valori maschili rispettivamente del 68 e 62%.
Nuove forme di discriminazione, secondo l’INAPP, si nascondono anche nelle moderne tipologie di lavoro su piattaforma, dove gli algoritmi riproducono spesso dinamiche e atteggiamenti negativi nei confronti delle donne, tipici del lavoro tradizionale e insiti nella mentalità di chi li programma. “Le menti che programmano gli algoritmi non sono diverse da quelle che, normalmente, scelgono chi assumere, promuovere, remunerare di più, licenziare e così via – ha evidenziato Fadda – la discriminazione algoritmica può dunque ugualmente agire e, in maniera implicita, produrre condotte discriminatorie di genere nel lavoro”.
Il report analizza, infine, anche le caratteristiche del lavoro domestico, un settore lavorativo in costante crescita. Ad oggi sono circa 2 milioni le famiglie che occupano lavoratori e lavoratrici principalmente per sostenere le esigenze di cura di persone anziane o malate. I dati mostrano una netta prevalenza della componente femminile tra gli occupati, per il 60% straniera, con un’età media in progressivo aumento e a oggi compresa tra i 45 e i 59 anni.
Il settore è caratterizzato da una ampia quota di lavoro sommerso: si stima che sette lavoratori o lavoratrici su dieci (68,3%) non abbiano alcuna formalizzazione contrattuale e di conseguenza alcuna tutela. Si registra, inoltre, un 34,3% di lavoro grigio, una forma di lavoro parzialmente regolare che presenta un contratto di lavoro formalizzato, ma con la dichiarazione di un numero di giornate inferiore a quante prestate effettivamente dal collaboratore.
INAPP: cresce occupazione, ma non per le donne
