Dignità per la morte di un lavoratore. La vedova Spagnuolo: “Sento di aver fatto tutto il possibile”

Roma, 18 dicembre 2021 – Non sono mancate le sorprese all’udienza tenutasi ieri, 17 dicembre, presso la Prima Corte di Appello Penale di Roma dove Debora Spagnuolo, vedova dal 2011 del giovane Giuseppe Esposito a seguito di una caduta da un’altezza di 12 metri dal tetto di un capannone a Penitro di Formia (LT), dalle prime ore della mattina è rimasta in trepidante attesa per l’udienza.
Il calvario giudiziario della vedova Esposito, Vice Presidente nazionale ANMIL Debora Spagnuolo, è emblematico delle difficoltà dei lavoratori infortunati, dei caduti sul lavoro e dei loro familiari. Il processo di primo grado a Latina si era concluso nel 2019 a distanza di otto anni dalla disgrazia e aveva visto la condanna del datore di lavoro e del committente.
Parecchie le criticità: la posizione del datore di lavoro di fatto (il figlio dell’anziano legale rappresentante – di fatto un prestanome) era stata incredibilmente archiviata dal Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Latina.
Nel processo di primo grado non è stata concessa la citazione dei responsabili civili (in altre parole delle società di cui erano rappresentanti legali gli imputati).
Nelle more del giudizio la società presso cui lavorava il povero Pino è fallita ed  il datore di lavoro deceduto.
La motivazione della sentenza di primo grado è stata depositata con oltre un anno di ritardo.
Arrivati con fatica all’udienza di appello (fissata dopo ben due istanze di anticipazione udienza chieste da Debora) subito i problemi.
Gli avvisi di fissazione udienza non erano stati notificati per tempo né a Debora e al sottoscritto che la difende, ma per errore al precedente difensore. Anche l’imputato aveva ricevuto la notifica in ritardo ma i suoi difensori si sono dichiarati pronti a discutere rinunciando all’eccezione.
Quindi il processo avrebbe potuto ancora una volta subire un rinvio.
Ulteriore sorpresa: la Procura Generale aveva chiesto “l’assoluzione dell’imputato con formula piena”. Il tutto con una motivazione laconica: l’imputato aveva usato la normale diligenza avendo scelto un’impresa qualificata ed in qualità di committente da lui non poteva pretendersi altro.
Aperta la discussione il Procuratore Generale si è riportato alle conclusioni scritte.
Dopo la discussione delle parti civili tra cui anche ANMIL con l’avv. Daniela Acciavatti,  è stato il turno dei difensori dell’imputato che galvanizzati dalla richiesta di assoluzione hanno parlato per circa quaranta minuti ribadendo per altre posizioni già illustrate nell’atto di appello.
Dopo la camera di consiglio durata oltre un’ora, il Presidente della Corte di Appello ha letto il dispositivo della sentenza che ha confermato la condanna a due anni e sei mesi del committente e le statuizioni  in favore delle parti civili costituite, oltre alla condanna delle spese del grado.
Le motivazioni verranno depositate nel termine di novanta giorni.
Debora, dopo una giornata davvero stressante, ha potuto tirare un sospiro di sollievo, dopo avere temuto il peggio per l’incredibile richiesta di assoluzione del Procuratore Generale.
Ma in pratica dopo dieci anni e mezzo a che punto siamo? Ancora al palo: le sentenze hanno accertato la responsabilità del committente  e dichiarata la responsabilità per il risarcimento dei danni ai familiari, ma la strada è ancora lunga.

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