Coronavirus: L’azienda lo licenzia per “troppa” malattia

30 settembre 2020 – Un lavoratore di Castelpusterlengo è rimasto contagiato dal Coronavirus e, ricoverato, a distanza di 7 mesi soffre ancora di una grave forma di miocardite. Ma per il gruppo commerciale Maxi Di ha superato il periodo di comporto, il limite massimo di giorni di infortunio o malattia, e dunque è stato licenziato. È la storia di F.R.F., 60 anni, di Somaglia, che lavora dal 1987 al supermercato Famila di Casale (prima A&O).
«Lavoro da 33 anni nel supermercato, mi mancano 17 mesi alla pensione – racconta F.R.F. -. Il 29 febbraio eravamo già in zona rossa, ma io ero regolarmente al lavoro. Il 1 marzo ho accusato i classici sintomi Covid, e così sono entrato in malattia. Il 7 marzo sono stato portato in ambulanza all’ospedale di Crema, dove sono stato ricoverato 10 giorni con una polmonite bilaterale interstiziale. Il 18 sono stato dimesso e sono entrato in isolamento fino ad aprile, quando ho fatto i due tamponi dell’Ats, entrambi negativi. A quel punto ho iniziato la convalescenza con controlli periodici in ambulatorio Covid, fino al 15 luglio».
Nel frattempo, a metà giugno l’Inail gli trasforma la malattia in infortunio Covid, con valore retroattivo. Per il 20 di luglio F.R.F. è pronto a rientrare al lavoro, ma viene fermato dai medici. Il 29 l’holter cardiaco evidenzia qualche problema, e scattano altre due settimane di ricovero. «La diagnosi è una miocardite in conseguenza di Covid, e Inail prolunga l’infortunio fino a metà ottobre – prosegue il racconto -. Ora sono in cura e ho sempre il defibrillatore portatile, controllato in telemedicina. Ma la sorpresa è arrivata il 18 settembre, quando mi è arrivata a casa la comunicazione del gruppo Maxi Dì che il 5 settembre avevo superato il periodo massimo di assenza per infortunio, non avevo fatto richiesta di aspettativa non retribuita, e quindi mi licenziava. Sono distrutto, dopo tutto quello che ho passato e dopo 33 anni di lavoro, sono stato scaricato come un peso».