Cassazione: nessuna rendita per lavoratore morto d’infarto

Roma, 8 settembre 2021 – Con ordinanza n. 23894/2021, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso degli eredi di un lavoratore morto per una ischemia miocardica asseritamente dovuta allo sforzo lavorativo cui si era sottoposto mentre prestava servizio.
In particolare, gli eredi del lavoratore deceduto, che si erano visti rigettare, in sede di merito, la domanda volta a conseguire la rendita quali superstiti, ritenevano erronea la valutazione dei giudici di primo e secondo grado per i quali lo sforzo lavorativo cui l’uomo si era sottoposto per aver trasportato mobilia a spalla non poteva aver causato il decesso.
Nel caso in esame, infatti, la Corte d’appello, dopo aver rilevato l’assenza di un esame autoptico che accertasse con sufficiente grado di certezza la riconducibilità del decesso del lavoratore a una causa di lavoro, avevano valorizzato la circostanza che costui fosse “un soggetto di giovane età, in buone condizioni di salute e senza alcuna predisposizione morbosa”, e che, peraltro, non risultava accertato “alcun elemento che potesse qualificare l’attività lavorativa ordinaria, così come quella svolta nel giorno del decesso, come eccedente la normale tollerabilità e adattabilità, al punto da potersi ravvisare un rapporto diretto tra lavoro e decesso”.
Sul punto, la Suprema Corte nel rigettare il ricorso avanzato, conferma quanto statuito dai giudici territoriali, chiarendo che l’azione violenta che può determinare una patologia riconducibile all’infortunio protetto deve operare come causa esterna, che agisca con rapidità e intensità, in un brevissimo arco temporale, o comunque in una minima misura temporale, non potendo ritenersi indennizzabili come infortuni sul lavoro tutte le patologie che trovino concausa nell’affaticamento che costituisce normale conseguenza del lavoro.