Caporalato, muore nei campi. Le parole del marito

Roma, 14 luglio 2021 – “Bisogna sempre denunciare, non restare chiusi nel dolore ma combattere perché queste cose non avvengano più. C’è bisogno della lotta da parte di tutti affinché queste forme di sfruttamento vengano debellate”. Sono le parole di Stefano Arcuri, il marito di Paola Clemente, la bracciante agricola morta il 13 luglio 2015 mentre era al lavoro nei campi ad Andria. Arcuri ha partecipato oggi alla intitolazione a sua moglie di una sala della sede della Cgil Puglia a Bari.
“Da allora la situazione non è molto cambiata – sottolinea Arcuri – è vero che sono stati fatti dei passi avanti con una legge, ma secondo me c’è bisogno di più controllo, perché purtroppo lo sfruttamento continua. Abbiamo visto l’ultima morte a Brindisi. È buono che alcuni sindaci e la Regione Puglia abbiano preso la decisione di proibire il lavoro nei campi nelle ore più calde, almeno quando ci sono 40 gradi”, perché – spiega il marito di Paola, anche lui bracciante, “è impossibile lavorare nei tendoni a quelle temperature, perché sono completamente chiusi. Mia moglie quando usciva dai tendoni aveva brividi di freddo perché c’è una differenza di almeno dieci gradi tra l’esterno e l’interno, dove si possono raggiungere anche i 50 gradi. E poi lo sbalzo termico forma sui tendoni delle pozze d’acqua, che se non stai attendo mentre lavori all’acinellatura rischi di farti una doccia che non è solo acqua, ma contiene anche tutti i veleni che vengono messi sull’uva. Tutti veleni che finiscono addosso. Ricordo che Paola quando tornava faceva la doccia due tre volte per togliere quell’odore dalla pelle”.
Adesso “mi aspetto che venga fatta giustizia, mi affido a quello che decideranno i giudici, – conclude Stefano Arcuri – e mi aspetto anche di avere le istituzioni sempre al mio fianco in questa battaglia”.