Commissione europea, Bruxelles, 28 ottobre 2020 – È datata 28 ottobre 2020 la nuova proposta di direttiva, lanciata dalla Commissione europea, sul salario minimo dei lavoratori europei.
L’iniziativa per uno strumento giuridico ad hoc è stata promossa dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, agli albori del suo mandato, con lo scopo di attuare il principio 6 del Pilastro europeo dei diritti sociali del 2017, che alla lettera b) recita: «sono garantite retribuzioni minime adeguate, che soddisfino i bisogni del lavoratore e della sua famiglia in funzione delle condizioni economiche e sociali nazionali […]».
La proposta giunge all’esito di due fasi di consultazione, la seconda delle quali è stata lanciata il 3 giugno 2020, in piena pandemia, a ribadire l’impegno della Commissione nel lavoro di aggiornamento della disciplina sociale europea.
Anzi, proprio l’attuale crisi economica ha rafforzato l’esigenza di contrastare la disuguaglianza salariale, anche al fine di sostenere la domanda interna e la leale concorrenza.
In linea generale, si evidenzia che la proposta di direttiva non persegue lo scopo di stabilire uno standard salariale minimo europeo, né tantomeno di ricercare una armonizzazione dei sistemi di determinazione dei salari. La ratio della direttiva è stata infatti spiegata dallo stesso Presidente della Commissione europea, secondo cui il quadro per i salari minimi «rispetta appieno le tradizioni nazionali e la libertà delle parti sociali; spetterà agli Stati membri decidere come conseguire gli obiettivi previsti».
Nel dettaglio, la proposta individua nella contrattazione collettiva la sede ideale per avviare un processo di universalizzazione delle tutele salariali, sia negli Stati membri in cui i livelli salariali sono determinati dalla contrattazione collettiva, sia in quelli in cui vige un salario minimo legale (art. 1).
Al riguardo, vale la pena evidenziare che l’Italia rientra tra i soli sei Stati membri in cui la protezione del salario minimo è garantita esclusivamente dai contratti collettivi, insieme a Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia.
È altresì incentivata una equa copertura salariale per i lavoratori atipici e autonomi. Infatti, all’articolo 2, è specificato che i lavoratori sono considerati coloro che hanno un contratto o un rapporto di lavoro come statuito dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia UE. È stata pertanto introdotta una nozione ampia di ‘lavoratore’, affinché sia inclusa la vasta platea di lavoratori non-standard (lavoratori domestici, intermittenti, parasubordinati, su piattaforma, ecc.).
Ai sensi dell’art. 4, gli Stati membri sono tenuti a promuovere la capacità delle parti sociali a concludere contratti collettivi sulla fissazione dei salari minimi. Inoltre, nei casi in cui la copertura della contrattazione collettiva non raggiunge almeno il 70% dei lavoratori, gli Stati membri devono stabilire un quadro per la contrattazione collettiva e un piano d’azione per la sua promozione.
Il Capo II (artt. 5-8) è dedicato agli Stati membri che hanno adottato salari minimi legali. Ai sensi dell’art. 5, questi Stati devono stabilire criteri chiari e stabili per la fissazione di salari minimi, ma anche meccanismi di valutazione e di aggiornamento periodico e organi consultivi ad hoc. I criteri dovrebbero includere almeno: il potere d’acquisto dei salari minimi; il livello generale dei salari lordi e la loro distribuzione; il tasso di crescita dei salari lordi; e l’andamento della produttività del lavoro.
All’art. 6 è invece disposto che le variazioni salariali minime devono essere limitate. Inoltre, qualsiasi variazione e decurtazione dovrà essere determinata in modo proporzionale e giustificato. Alla lettura della relazione introduttiva, possono essere giustificate da uno scopo legittimo le decurtazioni ordinate da un’autorità giudiziaria; diversamente, rappresentano generalmente misure ingiustificate le decurtazioni relative alle attrezzature da lavoro o alle indennità in natura.
Come stabilito dall’art. 7, le parti sociali dovranno essere tempestivamente coinvolte in caso di definizione o modifica dei salari minimi legali e dei criteri per la loro fissazione, così come nella determinazione delle variazioni e decurtazioni e negli studi sul campo.
Inoltre, gli Stati membri, in collaborazione con le parti sociali, sono tenuti a garantire l’effettivo accesso dei lavoratori al salario minimo, intraprendendo tutte le azioni necessarie, tra le quali soprattutto il rafforzamento dei controlli e delle ispezioni, l’elaborazione di orientamenti per le autorità competenti e la diffusione di adeguate informazioni ai lavoratori (art. 8).
L’art. 9 è invece dedicato agli appalti pubblici. Gli Stati membri dovranno garantire che, nell’esecuzione degli appalti e dei contratti di concessione, gli operatori economici – anche nella catena di subappalto – rispettino i salari concordati collettivamente ovvero i salari minimi legali, se esistenti.
Infine, ogni Paese è chiamato a migliorare l’applicazione e il monitoraggio delle tutele minime salariali nonché a redigere relazioni annuali da sottoporre alla Commissione europea (art. 10).
La scelta di affidare un ruolo centrale alla contrattazione collettiva è basata sul fatto che i Paesi caratterizzati da una elevata copertura della contrattazione tendono a registrare una percentuale minore di lavoratori a basso salario, nonché salari minimi più elevati e minore disuguaglianza salariale.
Si attende ora il testo definitivo della direttiva, all’esito dell’iter legislativo.
Per approfondire:
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