Intervista ai tre vincitori della sezione web del Premio Di Donato con l’inchiesta “Morire di marmo”

“Quando il giornalismo televisivo lascia il segno sul marmo”

Tre giovani autori in prima linea con una inchiesta web per prevenire gli incidenti sul lavoro. Il perché della scelta.

Uno per tutti, tutti per uno. Sono tre i vincitori della sezione web del Premio Pietro Di Donato: Marco Carlone, Elena Pagliai e Daniela Sestito con l’inchiesta “Morire di marmo”. Perché stanno insieme? A nome del gruppo parla Daniela: “Tutti e tre, a settembre del 2017, abbiamo partecipato ad un corso di giornalismo ambientale tenuto in Basilicata e lì ci siamo conosciuti. In quella occasione ci siamo resi conto che avevamo competenze completamente diverse, ma che si potevano integrare. Insomma abbiamo capito che avremmo potuto funzionare bene come gruppo”. Marco si è laureato in Scienze Politiche, Elena in Cooperazione e Sviluppo e Daniela in Lingua Cinese. Lui vive a Torino, mentre le due ragazze ad Arezzo e a Firenze. In comune hanno sicuramente l’età, poco al di sotto dei trent’anni e una gran voglia di andare dentro le notizie. Questi giovani autori hanno incassato l’applauso del presidente dell’ANMIL, Franco Bettoni, che ha promosso il Premio insieme al Comune di Taranta Peligna commentando così l’assegnazione del premio: “Per la singolarità di un tema di cui non si conoscono tutte le sfaccettature e per la multimedialità con cui avete affrontato questi argomenti con competenza ed entusiasmo”. 

Perché dopo la partecipazione al Premio Roberto Morrione, avete deciso di presentarvi al Premio Pietro Di Donato? 
Abbiamo partecipato al Premio Morrione subito dopo il Corso “Laura Conti”, in Basilicata, sulla Nuova Ecologia e lì abbiamo deciso di fare qualcosa insieme. Avevamo in mente la tematica delle cave di Carrara e abbiamo scritto il progetto, all’inizio con poche speranze, visto che avevamo tutti e tre pochissima esperienza. Il lavoro poi è andato bene ed è stato selezionato fra i quattro finalisti. Il nostro era un macro progetto che analizzava sei questioni differenti, una delle quali era il lavoro. Su questo aspetto ci siamo concentrati con il servizio “Morire di marmo”, che abbiamo presentato al Premio Di Donato, in cui abbiamo raccontato gli incidenti in cava e una serie di pressioni che gli operai subiscono in ambito lavorativo. Per noi era la questione più potente e quella in cui avevamo speso più tempo ed energie. Per questo abbiamo puntato su questo aspetto che si occupava soprattutto delle persone impegnate nelle cave, dando risalto al problema della sicurezza. 

Da dove è partita la vostra inchiesta e come si articola il web doc? 
La nostra inchiesta è in realtà partita da un’idea di Marco che lavorava per una rivista che parlava di viaggio lento e si era occupato del Parco delle Apuane e della questione delle cave, ma da un punto di vista soltanto paesaggistico. Tutti noi eravamo usciti da un corso di giornalismo ambientale ed eravamo affascinati dalla tematica del paesaggio. E così abbiamo deciso di fare un sopralluogo e di chiacchierare un po’ con la gente del posto per farci raccontare come stavano le cose. Abbiamo incominciato ad interagire con gli amministratori del territorio, gli attivisti delle varie organizzazioni e direttamente con gli abitanti di Carrara. Ci siamo resi conto che c’era tutta una serie di questioni, a prescindere da quella paesaggistica, che erano molto meno visibili e che andavano approfondite. Da qui l’idea di scrivere sei articoli, sei lavori differenti e di utilizzare questo contenitore, il web doc, uno strumento abbastanza nuovo. 

Su quali aspetti si è concentrata la vostra denuncia e quali problematiche avete raccontato? 
“Morire di marmo” racconta una lunga scia di morti e feriti sul lavoro e le pressioni subite dagli operai. Come dicevo questo è uno dei sei articoli, scelto in particolare per il Premio Di Donato. Un altro lavoro ha riguardato gli affari privati di beni pubblici e ha raccontato come un editto del 1751 abbia privatizzato quasi un terzo delle cave carraresi, privando le casse comunali di circa tre milioni l’anno. Un editto che tuttora sopravvive e resta lì a governare sulle cave. Dal nostro lavoro emerge innanzitutto un numero di infortuni sul lavoro impressionante: sono 1206 negli ultimi 12 anni e si tratta di un numero parziale perché, in realtà, dal 2017 l’Osservatorio Infortuni dell’Asl locale non ha più raccolto i dati. A Carrara, oltre ai feriti, nello stesso periodo ci sono stati 12 morti che, rispetto ai 33 del settore lapideo nazionale, attestano che un terzo degli incidenti si è verificato a Carrara. Si tratta di un grande squilibrio tra l’apparato industriale del marmo di Carrara e quanto rilevato in Italia nello stesso arco di tempo. Si tratta di un complesso industriale antichissimo e che ha avuto origine nel periodo romano. Da allora ad oggi, i cavatori hanno sempre avuto condizioni di lavoro estreme e anche adesso si registrano morti, anche se sono diminuiti. Noi abbiamo denunciato condizioni di lavoro difficili: la movimentazione di blocchi che pesano tonnellate, l’esposizione a condizioni atmosferiche estreme con il gelo in inverno e il sole a picco d’estate, a cui si aggiungono nuovi macchinari che non conoscono turni e stanchezza e gli operai non possono fermarsi mai. L’ultima questione che abbiamo raccontato è la paura che hanno molti di loro a denunciare le cose che non vanno a causa delle pressioni subite. 

Avete trovato ostacoli per realizzare l’inchiesta? È stato difficile girare le immagini e fare le interviste?
Le nostre interviste si sono concentrate su sindacalisti e operai. Molti di loro hanno deciso di raccontarci la loro storia a proprio rischio e pericolo, ma devo dire che, in qualche occasione, è successo di registrare il tutto e poi l’intervistato ci chiedesse di cancellarlo. 

Come passare dalla denuncia alla proposta? Qualcosa si è mosso con la vostra inchiesta?
In generale credo che qualcosa in Toscana si stia già muovendo. L’Asl sta facendo controlli insieme alla Regione Toscana e alla Procura di Massa. Insieme stanno compiendo uno sforzo consistente per migliorare la prevenzione degli infortuni. Credo che, dopo le segnalazioni contenute nella nostra inchiesta, ci sarà un forte aumento dei controlli sui posti di lavoro. 

Credete che il giornalismo investigativo dia un valore aggiunto al lavoro di un cronista?
Sì, fare il giornalismo d’inchiesta significa mettersi in contatto non solo con fonti istituzionali, ma anche con fonti primarie e che vivono il problema tutti i giorni. Questo significa anche dover stare sul territorio per lungo tempo e creare un rapporto di fiducia con la popolazione, con chi vive i problemi che raccontiamo. Credo che questo dia un valore aggiunto. 

Come nasce la scelta di lavorare sul web e quali sono le potenzialità di questo strumento di comunicazione? 
Alla domanda “Perché proprio il web?” posso rispondere che, quando abbiamo deciso di realizzare questo progetto, ci siamo resi conto che esisteva una serie di storie che sarebbero state difficilmente comprimibili in un altro formato, come quello video o quello cartaceo. Era necessario che ogni storia avesse il proprio spazio all’interno di un contenitore unico e quindi abbiamo deciso di utilizzare il web doc, che ha tra l’altro una serie di potenzialità perché consente di utilizzare strumenti differenti. Si possono inserire immagini animate, foto, video interviste, infografiche, che hanno l’obbiettivo di coinvolgere sempre di più l’utente del sito web. Noi abbiamo messo addirittura una mappa interattiva che consente di visitare in prima persona i luoghi fondamentali del marmo per riuscire a comprendere a 360 gradi qual è  il territorio in cui avviene ciò che stiamo raccontando. 

Che cosa vi aspettate dal futuro? Volete continuare a fare i giornalisti e in che modo? 
Devo dire che il Premio Morrione e il Premio Di Donato ci hanno dato la possibilità di fare la prima esperienza di giornalismo di inchiesta e non abbiamo intenzione di abbandonare questa modalità. Ovviamente abbiamo già altri progetti, focalizzati in particolare sulla questione ambientale. Continueremo a lavorare insieme. Io e Marco stiamo già scrivendo un testo, di cui non possiamo ancora anticipare niente. Siamo tutti free lance e inviamo dei piccoli abstract alle redazioni, chiedendo se gli argomenti prescelti possano interessare.  

Che cosa avete provato quando vi hanno comunicato che la vostra inchiesta aveva vinto il premio web? 
Noi non ci aspettavamo un risultato del genere perché conoscevamo il calibro delle persone che avevano vinto in precedenza. Penso a Stefano Liberti, lo scorso anno, con un articolo su Internazionale o a Valentina Petrini, quest’anno, con un servizio per Nemo Nessuno escluso di Rai 2. Ci siamo particolarmente emozionati proprio perché non ce l’aspettavamo. 

Avete qualche suggerimento per la prossima edizione del Premio Di Donato? 
Io e Marco ne abbiamo parlato insieme. Sarebbe molto carino se ogni tanto qualche vecchio finalista fosse inserito in Giuria. Ci piacerebbe che venisse coinvolto in futuro. 

 

Pubblicato il 18 gennaio 2019