Mariella Tritto, Avvocato dell’ANMIL, da 25 anni a fianco delle vittime del lavoro

Non bisogna mai partire perdenti
Intervista a Mariella Tritto, avvocato dell’ANMIL, da 25 anni a fianco delle vittime del lavoro 

La mattina in Tribunale, il pomeriggio ad una manifestazione solidale contro i veleni, l’intervista con me al posto della pausa pranzo. È soltanto una delle giornate dell’avvocato Mariella Tritto, per l’albo Maria Luigia, che da 25 anni condivide le battaglie dell’ANMIL. Una donna al servizio delle donne, e non solo, che porta nelle aule di giustizia le ragioni delle vittime del lavoro. Da Taranto, dove vive, al resto d’Italia, sono tante le cause intraprese contro ritardi, sfruttamento, mancato riconoscimento dei diritti che, prima di ogni altra cosa, devono essere attribuiti ad ogni persona. “Per questo – dice Mariella Tritto – ci siamo costituiti per anni parte civile nei processi”. Le sue risposte alle mie domande sono lucide e concrete, anche se si percepisce che la vicinanza a chi soffre le arriva prima di tutto dal cuore. Ma ripartiamo dall’ANMIL. 

Quando è avvenuto il suo incontro con l’Associazione? 
Potrei dire che conosco da sempre l’ANMIL. Ho svolto la mia attività di praticante in uno studio che collaborava già con questa Associazione e quindi continuare ad impegnarmi è avvenuto in modo naturale. Passa tanta storia della mia vita attraverso le battaglie comuni, tante conquiste e tanti problemi affrontati non soltanto nelle aule giudiziarie ma anche grazie al contatto con le persone e soprattutto in occasione di convegni e incontri di studio. La nostra attività infatti non si esaurisce soltanto nelle aule dei tribunali, ma si allarga alla divulgazione delle problematiche relative alla sicurezza sul lavoro.

Siamo alla vigilia dell’8 marzo. Come nasce l’impegno di un avvocato donna al servizio delle donne infortunate? 
Al servizio delle donne infortunate e non solo. È chiaro che noi abbiamo una sensibilità diversa da quella dei colleghi maschi perché siamo consapevoli delle problematiche che affliggono le donne infortunate. Mentre infatti, a sostegno di un uomo, c’è quasi sempre un tessuto familiare e sociale, la stessa cosa non accade ad una donna che, per un concetto atavico, è sempre il perno della famiglia, attorno a cui ruotano le responsabilità maggiori, dai figli alla gestione della casa. Quindi, per quella che è la mia esperienza personale, posso dire che, quando un evento infortunistico ferisce una donna, le conseguenze sono senz’altro peggiori. 

Secondo lei, nelle aule di giustizia, possiamo parlare di pari opportunità tra uomo e donna o anche qui, in caso di infortunio o di malattia professionale, esistono differenze di genere?
Dal punto di vista del giudizio, le questioni sono trattate in modo assolutamente paritario da parte dei giudici. Il problema della differenza di genere va invece visto sotto il profilo lavorativo, in particolare per quanto riguarda il trattamento economico. Spesso le donne svolgono attività pesanti, come in agricoltura, il più delle volte nel lavoro sommerso che purtroppo affligge la nostra società e dove esistono differenze retributive tra uomo e donna. 

Ci sono, fra i casi che segue, alcune storie che le tolgono il sonno? 
Potrei dire tutte perché non puoi fare questo lavoro con distacco. Inevitabilmente ti lasci coinvolgere: come avvocato svolgi un’azione importante, devi comprendere le problematiche e cercare di dare la migliore tutela possibile. E questo ti toglie decisamente il sonno. Ma credo che chiunque faccia la propria attività con coscienza e serietà provi questo. Nella vita vissuta non esistono le scene delle pubblicità americane, in cui il papà torna a casa dal lavoro tutto sorridente con la valigetta e il cappello. Non è così perché, se il lavoro può dare grande soddisfazione, comporta anche grande fatica. Tornando al ruolo di un legale, spesso ci si rende conto che si ha in mano la vita delle persone e che l’impegno può fare la differenza. Quest’anno ad esempio una signora, che aveva perduto il marito autotrasportatore in un incidente stradale, non aveva ottenuto il riconoscimento dell’evento infortunistico. Aveva una pensione di reversibilità bassissima e riuscire a fare la differenza in questo caso è stato importante per integrare quanto percepiva. Se non è cambiata la vita di questa donna, quanto meno è stato alleviato il suo disagio economico. Le eccezioni più brutte che mi sono vista sollevare nei tribunali sono state quando – di fronte ad una tragedia come la morte di un marito o di un figlio – mi hanno detto che esiste la compensazione del danno. Non è così perché, in casi come questi, le conseguenze nell’ambito familiare sono devastanti e non si possono superare con il denaro. 

Lei vive a Taranto. Ci parli dei veleni dell’Ilva e di quanto intossicano le aule dei tribunali.
L’intossicazione è un fatto concreto e riguarda tutti gli aspetti della nostra vita perché esistono signori che impunemente attentano alla nostra salute. E non parlo solo dell’ILVA, che assurge ai livelli della cronaca, ma anche dell’ENI. Basta pensare che, alcune settimane fa, c’è stata una fuoriuscita di gas che si sentiva intensamente in ogni parte della città. L’intossicazione non è però soltanto fisica, ma anche mentale perché noi continuamente assistiamo ad emissioni nocive e nessuno fa nulla. A questo proposito tra qualche ora parteciperò, come privato cittadino, ad una fiaccolata organizzata da un gruppo spontaneo, in memoria dei bambini che sono deceduti per patologie tumorali dovute ad una fortissima esposizione ambientale. Sono storie, queste, che mi stringono il cuore. Non è giusto che, nel quartiere Tamburi, ci siano giorni in cui, nel cosiddetto Wind Day, le scuole restino chiuse e i bambini debbano rimanere relegati in casa, con una chiara lesione del loro diritto allo studio. Troppo spesso è impossibile camminare nelle strade a causa dell’insostenibile odore di gas. 

Tra i suoi successi, ce n’è qualcuno che farà letteratura? 
L’ANMIL per la prima volta ha ottenuto, qualche anno fa, il riconoscimento come parte civile in un processo penale proprio qui, a Taranto. Credo che i colleghi abbiano già potuto utilizzare questo precedente. Ci sono già sentenze definitive sul risarcimento del danno perché abbiamo percorso anche il secondo grado della Cassazione.

A quali cause sta lavorando in questo momento? 
Le cause sono molte sul fronte del riconoscimento dei diritti degli infortunati, a cominciare dalle malattie professionali. Con l’ANMIL siamo presenti anche ad un processo per mesotelioma pleurico, che adesso è arrivato in Cassazione. Insomma c’è molto da lavorare, e su più fronti, in questa direzione. Per quanto riguarda le donne, nella maggior parte dei casi si registrano danni meno pesanti. Si tratta prevalentemente di vedove di persone decedute sul lavoro. Di recente ho invece assistito un uomo che ha ottenuto una rendita per la moglie deceduta in un incidente domestico.

Nasce a Taranto anche un’altra Mariella che porta il suo nome: la cantante Mariella Nava, testimonial dell’ANMIL e autrice della canzone “Stasera torno prima“ che ha regalato all’Associazione. Quanto è importante creare sinergie, anche con il supporto della musica, per combattere gli incidenti sul lavoro? 
Quando ho ascoltato per la prima volta questa canzone, mi ha procurato dei brividi e mi ha commosso fino alle lacrime. Non mi vergogno a dirlo perché Mariella Nava ha saputo tradurre, in musica e parole, il sentimento che vivo quotidianamente quando vengo a contatto con le donne che hanno perduto i loro uomini sul posto di lavoro. E lei ha saputo rappresentare in maniera mirabile l’attesa, la perdita, il rimpianto. È indispensabile questa sinergia, anche se il mio è un lavoro tecnico in cui l’empatia c’entra fino ad un certo punto perché, se rappresenti una persona, devi farlo al meglio delle tue capacità professionali. Considero comunque di fondamentale importanza non solo la musica, ma la cultura in genere e tutto ciò che contribuisce a sensibilizzare le persone sul tema della sicurezza e delle problematiche del lavoro.  

C’è una domanda che non le ho fatto e a cui vorrebbe rispondere?
Forse c’è un’ultima considerazione che vorrei fare. Il lavoro da portare avanti è tanto e, paradossalmente, spero che le cause si riducano e con esse la mia presenza nelle aule dei tribunali perché questo significherebbe una maggiore attenzione per la sicurezza. Fino a quando ci sarà molto contenzioso, significherà che le cose non stanno andando come dovrebbero.

Che cosa dire alle donne infortunate che non hanno ancora ottenuto giustizia?
Se le donne non hanno ancora ottenuto giustizia, qualcosa si è inceppato nel meccanismo del riconoscimento dei loro diritti. A tutte auguro di poter affrontare e risolvere i problemi ancora aperti e mi sento di dire di non mollare mai perché spesso i risultati si ottengono grazie alla caparbietà e al coraggio. L’ho riscontrato spesso nella mia pratica quotidiana. Conosco donne che si sono viste dare ragione perché, anche dopo molte delusioni, non si sono lasciate affliggere dalle difficoltà che si incontrano in tanti casi. Ho seguito una donna che ha perso il marito per un mesotelioma contratto sul lavoro e che non sapeva come fare per trovare testimoni della tragedia. Ebbene a distanza di tempo, grazie ad un incontro casuale, è scattata la rete di solidarietà e cinque ex colleghi del marito – che lei non aveva mai conosciuto – sono andati a testimoniare in causa. La solidarietà sociale è importante. Non bisogna mai partire perdenti. 

 

Luce Tommasi