Intervista al presidente dell’ANAC Raffaele Cantone‬

Le vittime del lavoro sono uno degli scandali veri del Paese. Abbiamo il diritto di ottenere processi in tempi veloci per fatti gravi.

Si è parlato del rapporto tra giornalismo investigativo e magistratura inquirente nel forum promosso dall’Associazione “Amici di Roberto Morrione” nell’ambito del 71esimo “Prix Italia”, il Festival Internazionale di Radio, TV e Web organizzato anche quest’anno dalla RAI. Un tema, quello della giustizia nel nostro paese, che non riguarda soltanto la libertà d’informazione, ma anche il diritto di ogni cittadino di vedere riconosciute le proprie ragioni. È di questi giorni, per citare soltanto una delle ultime notizie d’agenzia, la protesta di una madre che fa lo sciopero della fame per chiedere giustizia sulla morte del figlio, un operaio albanese precipitato otto anni fa dal tetto di una ditta di Narni. Ospite d’eccezione del forum è stato il presidente dell’ANAC, ‪l’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, che ha confermato le sue dimissioni dall’incarico per tornare a fare il magistrato e ha ricordato che era il 28 aprile 2014 quando diede inizio a questa avventura.
L’ANAC all’epoca aveva 19 dipendenti, mentre oggi sono circa 300, con competenze legate alla prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, a cominciare dal controllo della regolarità degli appalti. Una struttura insomma molto articolata e le cui attività hanno ricadute evidenti sul mondo del lavoro e sulla vita dei cittadini. Al forum promosso dagli Amici di Morrione sono intervenuti, insieme al presidente Cantone, anche Sigfrido Ranucci, autore e conduttore di Report di RAI 3 e Alessandro Casarin, direttore della TGR, la Testata giornalistica regionale della RAI.
Sul piano personale, da ex giornalista Rai, posso dire di avere avuto un rapporto mediato dal video con questo magistrato, che non ha mai lesinato le sue dichiarazioni a Rainews24, il telegiornale per cui ho lavorato tanti anni, fin dalla direzione di Roberto Morrione, “costruttore” di generazioni di giornalisti con la schiena dritta come quelli del Premio a lui dedicato e portato avanti con grande passione dalla moglie Mara Filippi Morrione.
A  latere dell’iniziativa, è incominciata proprio dalla giustizia nel mondo degli infortuni sul lavoro la mia intervista a Raffaele Cantone, di cui riporterò anche qualche passaggio del forum sui principi di correttezza e trasparenza che dovrebbero ispirare innanzitutto l’azione della pubblica amministrazione nei confronti dei giornalisti e non solo.

– Quanto è importante la giustizia per gli infortunati sul lavoro? Quando si parla di vittime del lavoro, di giustizia ce n’è ancora poca e i tempi sono talmente lunghi che le persone è come se si infortunassero non una, ma tante volte.
Io penso che questo sia uno degli scandali veri del paese, così come quello dei morti sulla strada, in cui ho visto casi di omicidi colposi chiusi con prescrizione. Questa è una cosa indecente. Anche per quanto riguarda le vittime del lavoro ci troviamo di fronte ad un problema della giustizia a 360 gradi per il quale noi abbiamo diritto di ottenere che, per fatti gravi, ci siano processi in tempi veloci. 

– Una delle battaglie dell’ANMIL è quella della costituzione di una Procura unica. A suo parere potrebbe essere importante per le vittime del lavoro?
Il problema sa qual è? Che a furia di dire facciamo le procure uniche per qualunque attività, rischiamo che non abbiano più senso. Questo meccanismo, questa idea di trovare sempre una soluzione che fa riferimento al caso specifico non mi sembra la strada  migliore. Per esempio, quando in passato si è trattato di discutere di rifiuti, sono state attribuite alcune competenze in questa materia alla Direzione Distrettuale Antimafia, che aveva dimostrato di essere molto efficiente nella lotta alla mafia. Ma non è detto che uno stesso organismo, facendo altro, sia ugualmente efficiente.

– Ritiene che si possa fare di più sul piano dei controlli per garantire maggiore sicurezza ai lavoratori? 

Io penso che sui controlli noi paghiamo un’ambiguità di fondo derivante dal fatto che riteniamo che ci sia un quid di tollerabilità anche nel mancato rispetto delle regole. Spesso le norme in materia di infortuni sul lavoro sono draconiane, eccessive. Forse, se si rispettassero davvero le regole, sarebbe impossibile che si verificassero incidenti. Ma tutto ciò comporta una grande disponibilità economica e una pesante burocratizzazione. Per questo, quando le regole sono draconiane, spesso qualcuno pensa che esista un quid di inosservanza tollerabile. È lì il problema. Aggiungo che noi paghiamo anche l’altro problema di un’impresa non sempre particolarmente forte per cui i controlli, con sanzioni pesantissime, come quelle sul lavoro in nero, finiscono per cagionare il fallimento dell’impresa stessa. E allora fare regole, a volte eccessivamente rigorose, spesso non serve nell’interesse della giustizia. 

Tra le altre domande a cui il presidente Cantone ha risposto, sollecitato da Casarin e Ranucci, ce ne sono state alcune sul ruolo del giornalista d’inchiesta, ma di sicuro interesse anche sul piano della giustizia nel mondo del lavoro. 

– Lei aveva proposto un paio di anni fa di consentire l’accesso dei giornalisti agli atti giudiziari al termine di un’inchiesta. Che fine ha fatto questa proposta? 
Sarà proprio questo il tema del mio lavoro futuro. E lo dico da ‪presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione e da magistrato. Abbiamo bisogno di un giornalismo che sia il più possibile libero e la libertà significa accesso alle informazioni, fatto che ormai viene declinato anche nell’ambito dei paradigmi internazionali come un vero e proprio diritto. Io voglio rientrare al più presto in magistratura per occuparmi di questi temi specifici. Ho fatto per moltissimi anni il pubblico ministero e mi sono occupato di tante indagini, ma non ho mai dato un atto ad un giornalista perché il limite del sistema attuale è la possibilità che si crei un rapporto non del tutto libero fra la stampa e chi fornisce la notizia. Bisogna evitare la captatio benevolentiae per tenere buona una fonte. Abbiamo bisogno di un giornalismo d’inchiesta serio che, nelle democrazie, rappresenta uno strumento di contrappeso fondamentale all’esercizio del potere.‪ Però non nascondiamoci dietro un dito: se un giornalista non ha l’accesso ad un atto giudiziario sono tutte chiacchiere. E perché allora non consentire, una volta che l’atto è pubblico, il diritto di acquisirlo senza dover passare per mediatori più o meno interessati? Questa riforma farebbe venir meno il monopolio dell’informazione che rappresenta, come tutti i monopoli, una fonte di potere eccezionale per chi la gestisce. E nessuno, anche nel campo dell’informazione giudiziaria, vuole evidentemente rinunciare a questo monopolio. 

– Quali sono le fonti aperte per un giornalista? Pensiamo per esempio ai siti on line delle pubbliche amministrazioni dove, anche se molti non lo sanno, si trova quasi tutto, a cominciare dai compensi a collaboratori e fornitori.
La capacità di muoversi nei siti istituzionali rappresenta un elemento, una fonte di innesco a mio parere eccezionale per il giornalista attuale rispetto a chi era invece costretto a dover recuperare, come Pollicino, briciola per briciola. Esistono poi tante altre fonti, che sono sempre molto utili per chi fa indagini giudiziarie e investigative, perché ormai il panorama dell’informazione che passa attraverso i blog fa sì che si possa avere un quadro di informazioni a volte non attendibili, ma certamente importanti. L’Italia ha fatto, negli ultimi anni, un passo in avanti storico perché prima era in assoluto il paese con il più alto livello di segreto sull’azione delle pubbliche amministrazioni. All’interno dei loro siti si trova oggi un’incredibile quantità di informazioni che, se lette in modo intelligente, forniscono degli spazi di conoscenza eccezionali non solo per le forze dell’ordine, ma anche per gli stessi giornalisti al fine di acquisire elementi che poi andranno approfonditi dopo questa prima fase di accesso diretto agli atti. È vero che spesso i siti non sono completi, ma a volte l’incompletezza è essa stessa un elemento che deve accendere il faro. Se c’è una gara, e manca ad esempio il verbale di aggiudicazione, è evidente che quello può essere un elemento significativo. Come ANAC abbiamo fatto il primo monitoraggio sui siti degli enti e ci siamo resi conto che sono molto frequentati non solo nella parte che riguarda le informazioni di carattere generale sui sindaci e gli assessori, per sapere ad esempio quanto guadagnano, ma anche nella parte che riguarda le informazioni sensibili, come le consulenze e gli appalti. Tutto questo per dire che si tratta di strumenti eccezionali in una democrazia nella quale chi governa in generale, non solo la politica, ma soprattutto la burocrazia, deve essere trasparente e deve dar conto ai cittadini.

– Quali sono i principi ispiratori di chi decide le regole per tutelare i diritti dei cittadini? 
Quando noi facciamo le regole, dobbiamo preoccuparci prima di tutto del modo in cui verranno utilizzate. Perché le regole non saranno utilizzate soltanto dalle persone perbene, ma ancora di più dai banditi. Se noi mettiamo troppi limiti all’esercizio di questa o quella attività, sono certo che i primi a beneficiarne saranno proprio i banditi, che quasi sempre hanno una grande capacità di utilizzare gli escamotage, molto più delle persone perbene. 

E di persone “non perbene”, Raffaele Cantone ne ha indubbiamente incontrate tante nel suo percorso professionale. Basta ricordare che vive tutelato dal 1999 ed è stato sottoposto a scorta dal 2003, dopo la scoperta del progetto di un attentato ai suoi danni organizzato dal clan dei Casalesi. È stato, per quattro legislature, consulente della Commissione parlamentare Antimafia e ha partecipato alla stesura della relazione sulla criminalità organizzata di tipo camorristico in Campania. È presidente onorario del presidio di Libera di Giugliano, in provincia di Napoli, dedicato a Filomena Morlando, vittima innocente di camorra. Il suo primo ringraziamento, in occasione del forum sul giornalismo investigativo, è andato a‪ Mara Filippi Morrione per tutto quello che Roberto Morrione ha rappresentato nel mondo dell’informazione sul piano del rigore e della lotta contro la criminalità. Il suo motto, per tutti noi che abbiamo lavorato con lui, era infatti: “Fa’ quel che devi, accada ciò che può”.

 

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