Il Disability Manager parla del Disability Pride
È appena calato il sipario sulla no stop di musica e parole, patrocinata dal Comune di Roma, che si è tenuta in piazza del Popolo, su iniziativa della Disability Pride Onlus e della Fondazione dell’ANMIL Sosteniamoli Subito con la partnership di Radio Italia Anni 60. Per fare un primo bilancio dell’iniziativa ho raggiunto in Campidoglio il Disability Manager, Andrea Venuto, che la Sindaca Virginia Raggi preferisce però chiamare Delegato all’Accessibilità Universale. “Perché i diritti – ha chiarito la prima cittadina in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’evento – devono valere indistintamente per tutti e da tutti devono essere esigibili”. C’è dunque un vocabolario da riscrivere per costruire questo nuovo percorso di inclusione sociale, partendo dal principio che nessuno si salva da solo. E parole come “orgoglio” e “pregiudizio” sono state al centro dell’iniziativa, aperta da una lunga marcia – da piazza Venezia a piazza del Popolo – che ha visto in prima linea il Disability Manager di Roma Capitale.
– Andrea Venuto, lei è reduce dal Disability Pride. Che cosa pensa di questo evento?
Si è trattato di un evento fondamentale per Roma Capitale, prima di tutto perché è stato una testimonianza dei cittadini con e senza disabilità. E il pregio di questa manifestazione è stato proprio il tema dell’integrazione. È vero che i diritti che sono stati portati all’attenzione delle istituzioni sono quelli delle persone con disabilità, ma è altrettanto vero che hanno partecipato all’iniziativa tante persone senza disabilità. Per questo è stato un momento importante e di respiro internazionale, essendosi svolto contemporaneamente a New York e a Brighton. Un evento che ha sicuramente fatto bene a Roma Capitale, che resta comunque una città difficile sotto il profilo dell’accessibilità per i disabili. Posso dire che è stata una testimonianza importante ed è questo il motivo per cui abbiamo sostenuto il Disability Pride, sia con il patrocinio del Comune, sia con il supporto organizzativo.
– Quanta strada resta ancora da fare perché l’articolo 3 della Costituzione italiana e la Convenzione dell’Onu sui Diritti delle persone con disabilità trovino concreta applicazione nella vita quotidiana?
L’Italia è un paese molto avanti a livello legislativo. Lo è sempre stato sin dagli anni ’80 sull’abbattimento delle barriere e poi, dagli anni ’90, sul diritto all’assistenza, sino ad oggi sul tema del “Dopo di Noi”. Tutti diritti che però non sono esigibili perché non vengono applicati in maniera puntuale. A Roma stiamo cercando di tracciare un solco su questi temi e ci stiamo impegnando a disegnare un percorso, anche se non da zero – perché non sarebbe giusto dirlo – fermo restando che siamo comunque molto indietro, sia sul tema dell’accessibilità delle barriere architettoniche, che su quello dell’assistenza. Abbiamo un numero di cittadini con disabilità molto elevato. Sono 2.800.000 i residenti nel Comune. Immaginiamo quanti possano essere nelle 15 municipalità di Roma, tenendo conto che ognuna è grande quanto un comune medio-grande d’Italia. Quindi c’è tanto da lavorare.
– Quale sono le prime azioni da mettere in atto per le persone con disabilità?
Ci sono delle priorità che stiamo realizzando, come quella dell’abbattimento delle barriere, non solo fisiche, ma anche sensoriali. Questo è un tema che stiamo affrontando, dando attenzione ad esempio ai cittadini sordi. Stiamo facendo un progetto che, per la prima volta, renderà accessibili i lavori dell’assemblea capitolina alle persone sorde. Quindi avremo la traduzione nella Lingua dei Segni e la sottotitolazione. Tutto live e in contemporanea con i lavori consiliari. È un primo passo, ma stiamo tracciando il solco.
– Barriere architettoniche e barriere culturali. Come riuscire a far vivere una città a 360 gradi? Quali le iniziative in corso?
Siamo partiti con un monitoraggio serio delle barriere architettoniche presenti a Roma Capitale. Parliamo, come ho detto più volte, di una città che ha migliaia di anni e, se è vero che è difficile intervenire, questa non deve essere una scusa. Fermo restando l’interesse millenario per alcuni monumenti, questo non significa che non si possa fare nulla. Abbiamo chiesto a tutti i Municipi di Roma Capitale di indicarci le loro priorità dal punto di vista della viabilità, come rampe e attraversamenti pedonali e sotto ogni aspetto della vivibilità della città. Abbiamo portato a termine questo monitoraggio e abbiamo strutturato un intervento immediato, mettendo a bilancio circa un milione di euro, proprio per agire subito. È un primo passo, essendo Roma molto grande, ma cerchiamo di mettere qualche sassolino nella bisaccia degli interventi.
– La Sindaca Raggi ha indicato, fra le priorità, anche l’accessibilità ai servizi anagrafici. Che cosa ci può dire in proposito?
Questo è stato un altro intervento molto importante. Sappiamo che non esiste in Italia una normativa nazionale che dia priorità alle persone con disabilità per accedere ai servizi anagrafici, anche soltanto per chiedere una carta d’identità. Per questo abbiamo deciso, attraverso appositi strumenti organizzativi, di dire a tutti gli sportelli e a tutti gli impiegati amministrativi di dare la precedenza alle persone con disabilità e di accettarle senza prenotazione preventiva.
– Lei è andato a testare in questi giorni il percorso della nuova metropolitana. Ci sono delle correzioni da apportare?
Questa è un’annosa questione di Roma Capitale. Io sono stato qualche giorno fa – e su questo sopralluogo pubblicheremo un filmato – a verificare l’accessibilità della metro C di ultima generazione, che sta per essere completata e che ha però grossi limiti di accessibilità. Si tratta di problemi non sul percorso dalla strada alla fermata, perché ognuna è dotata di ascensori, ma di difficoltà di accesso dalla banchina al treno. Questo è un progetto partito molti anni fa ed evidentemente, all’epoca, il tema non era governato a dovere per cui abbiamo treni che arrivano alla banchina e presentano un dislivello eccessivo per le carrozzine. Nei fatti, una persona con una carrozzina manuale può avere grosse difficoltà a salire su un treno in autonomia. Abbiamo attenzionato questa cosa, come avevamo già fatto nel 2015, quando eravamo all’opposizione e avevamo fatto delle interrogazioni, grazie alla nostra Sindaca. E ora che siamo al governo di questa città vogliamo cercare di risolvere il problema che ovviamente, se fosse stato affrontato in fase progettuale, sarebbe stato a costo zero. Adesso sarà sicuramente un impegno per i cittadini.
– Quanto è importante, tenendo conto di ciò che abbiamo detto fino ad ora, la sua figura in una grande città come Roma?
È importante perché, come ho detto prima, si tratta di governare un tema in maniera trasversale, cioè cercando di incrociare tutti gli aspetti di Roma Capitale e quindi non solo il sociale, ma anche la cultura, la comunicazione, i lavori pubblici, le risorse umane. Occorre incrociare tutti questi aspetti con un occhio rivolto alle esigenze delle persone con disabilità, che possono avere esigenze differenti dalle altre. Se io mi occupo di questa tematica, posso portare le loro esigenze all’attenzione di tutte le “deleghe” che ci sono nel governo dell’amministrazione. Per esempio – quando parlo di cultura in maniera trasversale – se faccio un evento, cerco di farlo nella maniera più accessibile possibile. E quando parlo di lavoro e di risorse umane, ugualmente tengo conto dei temi della disabilità. Si tratta di un approccio scelto proprio come direttiva nella delibera di Giunta capitolina. In passato questa visione non esisteva e per quanto mi riguarda devo cercare di agire con un approccio a 360 gradi.
– Lei da quarant’anni vede le cose da una speciale angolazione. Che cosa può trasmettere a tutti noi dal suo punto di vista?
Il punto di vista è molto importante. Non si può raccontare una storia senza un punto di vista. È ovvio che il punto di vista c’è ed è imprescindibile perché altrimenti diremmo una cosa non corretta. Però è un punto di vista che dobbiamo mettere a fattore comune per gli altri. Nel momento in cui un punto di vista non è una soggettività, ma è una esperienza oggettiva – come la chiamo io – allora può essere un valore aggiunto. Questo però vale per tutti. Ognuno ha un suo punto di vista, ognuno ha una sua esperienza, un suo background che, se viene messo a disposizione di un mandato politico, che è quello di amministrare la cosa pubblica, allora può essere valorizzato. Questo è l’approccio che mi piace dare a questo incarico.
– Tornando al Disability Pride, Roma è stata candidata a diventare la capitale italiana di questa manifestazione. Pensa che l’esperienza possa essere ripetuta anche nei prossimi anni?
Penso che Roma debba essere il centro di iniziative del genere e, a maggior ragione, debba essere il centro del Disability Pride. Non nascondo che a qualcuno, anche fra i cosiddetti portatori di interesse, questa cosa ha fatto un po’ storcere il naso perché il concetto di Pride viene declinato spesso in diversi aspetti. Noi lo vogliamo intendere non come manifestazione dell’orgoglio di essere disabile, ma dell’orgoglio di essere prima di tutto persona con disabilità. Sono due cose diverse. Dunque a mio parere Roma dovrà diventare il centro di questa tipologia di eventi e secondo me, anno dopo anno, si accoderanno diversi aspetti della società civile a questo Pride. Già l’anno prossimo mi sento di dire che dovremmo sostenerlo ancora di più, cercando di farlo diventare un collettore di altre iniziative sul tema. Questo significa integrare.
– Se dovesse mandare un messaggio ai disabili e alle loro famiglie – l’ANMIL associa quasi 400.000 vittime del lavoro – che cosa direbbe loro prima di tutto?
Penso che il reinserimento al lavoro, promosso da una associazione come l’ANMIL, sia fondamentale per la società civile perché, se viene a mancare il lavoro – e qui è inutile citare la Costituzione italiana – decade una delle basi portanti dell’emancipazione personale. Se io tolgo questa pietra, il problema non è solo di natura economica, ma sociale e personale dell’individuo. Nel momento in cui si sostiene l’inserimento lavorativo di una persona con disabilità, a quella persona viene data non solo una speranza, ma una opportunità per rientrare nella società e tornare ad essere un contribuente e ad avere una visione a lungo termine, indipendentemente dalla sua condizione. Non sempre è possibile far tornare, dopo il periodo riabilitativo, una persona al suo lavoro precedente, ma è importante che il lavoro sia tarato sulle sue residue funzionalità. Ed è proprio qui che il percorso si dimostra vincente. Un incidente sul lavoro può così rappresentare un episodio che, pur non avendo mai un’accezione positiva, può però diventare una residualità positiva delle proprie capacità. Secondo me questo è il primo tema che va sostenuto perché il reinserimento nel mondo del lavoro è di fondamentale importanza.