Intervista ad Andrea Pernarcic, creatore della startup “Dyamer”

L’incredibile storia di un infortunato sul lavoro che ha trasformato la paura di morire nella speranza di continuare a vivere.

Da vittima del lavoro ad amministratore delegato di una Srl. È una storia a lieto fine quella di Andrea Pernarcic, 44 anni oggi, infortunato a 21. Era andato ad aiutare un amico in una fabbrica del bresciano che produceva plastica. Uno slancio che gli è costato l’uso delle dita di entrambe le mani. Ma è stato soltanto quattro anni fa, in seguito ad un incidente automobilistico, che gli è arrivata l’intuizione che ha cambiato la sua vita: si chiama Dyamer, un piccolo zaffiro che è in grado di programmare il “dopo di noi”, consentendo la presenza nell’assenza. Si tratta di una singolare startup, che è stata presentata nel 2019 al Web Marketing Festival di Rimini ed è stata selezionata tra le 15 finaliste su 1500 partecipanti. Ripercorriamo allora, a ritroso, la storia di questo visionario, ora a capo di Eternity Srl, che ci spiega innanzitutto in che modo la sua invenzione può offrire “vita oltre la vita”.  

– Andrea Pernarcic, ci presenti Dyamer.
Si tratta di un sensore che cambia il modo di relazionarci con il “dopo di noi”. Serve ad un “trasferimento organizzato e documentato” della nostra eredità culturale, affettiva, legale, consentendoci forme di presenza attraverso iniziative e messaggi programmati nel tempo, anche quando non ci saremo più. Insomma: la possibilità di esserci dopo. Con la serenità di farlo per tempo, con consapevolezza, progressivamente e con il consenso di chi resta, che può decidere a sua volta se accettare di vedere i messaggi. 

– Ci può fare qualche esempio concreto? 
Posso fare un gioco con i miei nipoti, lasciando un video messaggio nel giardino di casa e invitarli a fare una caccia al tesoro perché ho nascosto un regalo da qualche parte. Oppure inviare gli auguri di compleanno a mio figlio quando avrà 30 anni, magari destinandogli una somma in denaro con cui potrà comprarsi ciò che vuole. Insomma posso mettere in memoria messaggi geolocalizzati, che mi consentono di essere presente pur non essendoci. All’inizio era un’idea e non un business, ma piano piano ho pensato che sarebbe stato egoistico tenerla solo per me. Io e i miei collaboratori abbiamo intervistato tante persone per capire come questa opportunità potesse impattare sulle diverse generazioni e il 78% delle risposte è stato favorevole. E così mi sono messo di buona lena a costruire una società che producesse Dyamer. Ho impiegato una trentina di giorni per stendere il progetto e soltanto in seguito è arrivata la tecnologia.

– Ci sono diversi utilizzi di Dyamer. Quali? 
Dyamer è innanzitutto una chiave a forma di zaffiro che ti consente di caricare dei video filmati nel tuo cloud. Tu hai uno spazio dedicato, che ti viene dato dalla nostra società e al quale puoi accedere tutte le volte che vuoi. Alla fine della tua vita, questo zaffiro può essere posizionato dove preferisci venga collocata la tua entità digitale, che sia la tua tomba o qualunque altro posto tu abbia scelto. Un’altra applicazione è il Pet, che è dedicato agli animali da compagnia di una vita e che può essere abbinato allo zaffiro. A volte restano soltanto alcune foto di questi animali e può essere bello mostrare ai figli un filmato dell’infanzia con i loro piccoli amici. Anche questo può essere un percorso per attenuare il distacco, quando non ci sarai più.
E poi c’è il testamento olografo digitale. Di fatto abbiamo creato un apposito brevetto, grazie ad un tutorial che ti guida nella stesura e ti consente, con una spesa ridotta, di non dovere ricorrere ad un notaio. Con questo atto puoi scegliere 5 persone, che saranno i tuoi tutori testamentari e che dopo la tua morte riceveranno una copia digitale in Pdf del tuo testamento. Questo atto dura 20 anni e puoi cambiarlo quando vuoi. 
Infine, esiste il Lucchetto, che noi abbiamo chiamato Vinci, ispirandoci al nodo vinciano della Dama con l’Ermellino di Leonardo. Si tratta di un servizio a parte in cui puoi inserire un video messaggio di 30 minuti per fare, ad esempio, una proposta di matrimonio. Il lucchetto può essere posizionato dove vuoi, magari in uno scenario suggestivo dove la tua futura sposa lo potrà trovare e tu potrai essere lì ad accoglierla.

– Qual è la valenza sociale del progetto?  
In base alle nostre ricerche, gli italiani – a differenza di quanto avviene in altri paesi europei, come la Norvegia o l’Olanda – non pensano al dopo. Con il sistema che abbiamo creato, in due giorni è possibile organizzare la propria successione. E questo fatto determina tante ricadute a livello sociale. Per esempio, io potrei avere bisogno di denaro e, avendo una successione in corso, dovrei aspettare dei mesi per poterne disporre. Per non parlare dell’aspetto psicologico, che colma il vuoto della persona amata. Un figlio che perde un genitore in tenera età potrà essere accompagnato in un percorso pensato apposta per lui, man mano che crescerà. È una sorta di sostegno, che alleggerisce l’assenza di una persona cara. Anche qui sta la valenza sociale del progetto. 

– Rapporti virtuali e rapporti umani: pensa che gli uni vadano a scapito degli altri? 
Se noi analizziamo la comunicazione umana di oggi, la maggior parte delle persone utilizza messenger, instagram, whatsapp. Diciamo che il nostro sistema relazionale fa sì che gli scambi avvengano sempre più sul piano tecnologico e sempre più velocemente. E se il sistema della comunicazione che abbiamo creato è fatto in questo modo, per forza ci dobbiamo posizionare lì. Basta pensare ai ragazzi che si affidano ad una immagine, che dura pochi secondi e viene immediatamente cancellata. Si vive il momento, si brucia il secondo. Il nostro obiettivo è quello di creare sistemi aperti e semplici, che possano essere convertiti nel tempo in base all’evoluzione tecnologica, per garantire a chiunque di ricevere i messaggi che sono stati predisposti. Noi assicuriamo per almeno 80 anni, dopo la morte di una persona, il mantenimento delle immagini che ha inserito nel suo Dyamer. 

– Come è avvenuta la sua rinascita dopo l’incidente sul lavoro di cui è stato vittima? 
Dopo avere metabolizzato l’incidente, mi sono sentito una persona che poteva dare qualcosa agli altri e l’ho sempre fatto. Grazie al ruolo di testimone della prevenzione sul lavoro, assegnatomi nei fatti sia dall’INAIL sia dalla Cgil, ho tenuto molteplici interventi nelle sedi sindacali, nelle aziende, nelle scuole e nelle Università per sensibilizzare adolescenti, giovani e lavoratori sui temi specifici.  Posso dire che non mi sono mai pianto addosso perché mi è stato subito chiaro che, aiutando gli altri, aiutavo innanzitutto me stesso. E questa consapevolezza mi ha dato lo spirito giusto per andare avanti e continuare a costruire. Un riscatto che mi ha consentito di trasformare i sogni in realtà, mettendo in piedi un progetto che è nato dalla mia testa. La paura di essere privato della vita, collegata ad un incidente, ti porta a fare ragionamenti che normalmente non fai e parte comunque da un momento drammatico in cui la mente tira fuori cose che prima non avevi pensato.  

– Lei ha pubblicato il libro “Diario di un infortunio”, grazie all’INAIL e al suo mentore Marco Stancati, comunicatore d’impresa e docente alla Sapienza. Perché ha sentito la necessità di scrivere la sua storia?  
Il libro è nato come un’auto ipnosi indotta perché per nove mesi ho continuato a svegliarmi alle 4.20 precise di ogni mattina, gridando e rivivendo l’incidente. Ho dovuto riattraversare quei momenti nella realtà e riviverli in un ambiente protetto per condizionare la mia mente. Ho registrato quello che raccontavo a me stesso e da quel momento in poi non ho più avuto problemi. Questo diario è diventato poi un libro. Prima dell’infortunio sul lavoro ero un “figaccione”, avevo 103 kg di muscoli e mi allenavo tre ore al giorno. Ho suonato la chitarra in gruppi “spalla”, quando Francesco Renga era il capo del gruppo Timoria di Brescia. Mi sono quindi trovato nella condizione di non avere più la mia forza fisica e di conseguenza anche le mie energie psicologiche. 

– La sua vita si è intrecciata più volte con quella dell’ANMIL. Che cosa pensa della nomina alla presidenza dell’INAIL di Franco Bettoni, ex presidente dell’Associazione? 
Con l’ANMIL, per citare soltanto uno dei momenti di incontro, ho presentato il libro “Polvere” di Alessandro Morena, che parla delle conseguenze dell’amianto nei cantieri navali di Monfalcone. Di questa Associazione ho sempre apprezzato la capacità di fare prevenzione nelle scuole, a cominciare dall’utilizzo dei fumetti per attirare l’attenzione dei ragazzi. Mi levo tanto di cappello di fronte alla nomina di una vittima del lavoro come Bettoni ai vertici dell’INAIL. Sicuramente la sensibilità di questa persona è diversa da quella che può avere un normodotato perché è difficilmente immaginabile che cosa significa vivere un infortunio, se non lo si ha provato. 

– Cosa può offrire Dyamer ad un’associazione come l’ANMIL? 
Il muro della memoria o, per meglio dire, il Dyamer della memoria, dove come me o come un Presidente di una sezione dell’ANMIL possa raccontare la sua storia e dare sostegno a chi purtroppo si dovesse trovare a vivere un infortunio. Io l’ho fatto con un libro, che passa però attraverso la lettura, mentre un video è diretto, immediato e molto più potente perché c’è una persona in carne ed ossa dietro la telecamera che ti sta parlando. L’ANMIL potrebbe, ad esempio, geolocalizzare i filmati di testimonianze sulla prevenzione in ogni scuola italiana. Ormai i ragazzi dai 12 anni in su, e forse anche prima, hanno in mano un cellulare e potrebbero disporre di una comunicazione diretta, di un’allerta continua, a forte impatto emotivo. Il logo di Dyamer è la lettera C, che sta per Continuus, il centro dell’infinito. Il significato è quello di dare informazioni e mantenerle vive. 

– Quali sono i suoi progetti futuri? 
Stiamo parlando con un istituto oncologico a livello internazionale per costruire un percorso, su cui lavoriamo da tempo e che ora si sta concretizzando. Dobbiamo infatti presentare a breve un progetto per dare tempo a chi non ha tempo e aiutarlo a vivere il distacco da questa vita e dalla sua famiglia. 

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