L’autore pensa ad un movimento per la sicurezza che parta dal mondo della scuola e coinvolga l’intera società.
Alessandro Gorga alias Antero. La sua è una vita al servizio dell’impegno per la sicurezza sul lavoro. Vive a Roma, dove insegna materie tecniche nella Scuola di Formazione Professionale Elis. In lui convivono due autori: Alessandro Gorga, che ha pubblicato tra il 2016 e il 2018 tre manuali sugli impianti elettrici ed Antero, che ha scritto nel 2019 il romanzo “Il sogno di Giovannino che diventerà la sua missione per la vita”. Una storia che racconta lo strazio di una famiglia, a cui viene a mancare il primogenito per un incidente in un cantiere e che reagisce fondando il movimento per la sicurezza sul lavoro. “Ho scelto uno pseudonimo perché volevo distinguere la firma dei manuali da quella del narratore” dice subito per fugare l’idea di un vezzo letterario. Il romanzo, pubblicato su una piattaforma digitale, presto sarà dato alle stampe. “Porterò personalmente la prima copia all’ANMIL” ci tiene ad anticipare. Non a caso il sottotitolo del libro è “Un movimento per la sicurezza per un mondo del lavoro più sicuro”. E dalla specularità degli obiettivi di Alessandro Gorga con quelli dell’ANMIL comincia l’intervista ad Antero.
– Perché ha deciso di presentare il suo romanzo a questa associazione?
Mi sembrava naturale che il romanzo potesse essere di interesse per l’ANMIL. Se infatti la prima parte è un racconto d’invenzione, la seconda è un vero e proprio saggio che riguarda iniziative e progetti per divulgare la cultura della sicurezza. A questo proposito ho già scritto un secondo libro, che è il seguito del primo, intitolato “Il movimento della sicurezza si espande in Italia” e che punta a costituire una rete nazionale per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro. Un altro obiettivo che ritengo possa interessare l’ANMIL e i suoi associati.
– Nel romanzo il sogno di Giovannino diventa la sua missione per la vita. La tragedia di una famiglia può trasformarsi in un impegno per gli altri?
È così ed è questo il vero motivo che ha ispirato il mio racconto. Il dramma di una famiglia per la morte del primogenito si trasforma nella missione sociale di un padre e un figlio, Alfio e Giovannino, accomunati dalla stessa attenzione per la sicurezza sul lavoro. Insieme fondano un’associazione che si chiama “Sicurarte” per raggiungere una platea più ampia di quella degli addetti ai lavori. La tragedia, nonostante li avesse scossi, aveva risvegliato in loro una tale forza di reazione che si è trasformata in un impegno capace di scuotere le coscienze su un tema importante come gli incidenti sul lavoro. Dall’associazione all’idea di fondare un movimento il passo è stato breve perché l’obiettivo era quello di raggiungere un numero sempre maggiore di persone.
– Ritiene che questa storia di fantasia possa diventare realtà?
Il mio è certamente un auspicio e desidero che quanto racconto nel romanzo accada davvero. Mi piacerebbe che a fondare il movimento per la sicurezza fossero i giovani, che io formo tutti i giorni sui banchi di scuola. Vorrei che fossero proprio loro a battersi per un lavoro sicuro per le nuove generazioni e a costituire la leva per un mondo del lavoro migliore. Per questo mi sono rivolto all’ANMIL. Perché penso che sia il soggetto più adatto per veicolare questi messaggi e, magari, a farsi promotrice di questo movimento che vuole divulgare la cultura della sicurezza e della salute sul lavoro, attraverso ogni forma artistica ed espressiva. Tutte pratiche che vedono già questa associazione in prima linea.
– Lei si identifica con Alfio e Giovannino?
Io ho cambiato i nomi, ma c’è una parte della mia vita all’interno del libro. Nel romanzo a volte sono Alfio e a volte sono Giovannino perché mi identifico in entrambi i personaggi. Molti dei fatti che ho scritto riguardano vicende che ho vissuto da ragazzo e da adulto.
– Che cosa manca nel nostro paese per diffondere a tutti i livelli i concetti di prevenzione e sicurezza?
Penso che manchi una cultura adeguata e che occorra una maggiore partecipazione. Bisognerebbe coniugare – come dico nel libro – il linguaggio tecnico-scientifico degli addetti ai lavori con espressioni artistiche, creando un pensiero unico. Per divulgare il concetto di sicurezza, abbiamo bisogno anche della società civile e del mondo della cultura. Penso a pittori, cantanti, registi che si impegnino per diffondere messaggi fra la gente comune e soprattuto fra i giovani. Anche i politici si riempiono la bocca di questi temi, ma nei fatti non ci sono risposte efficaci perché ancora oggi stiamo toccando la soglia dei mille e più morti all’anno. Quando insegno ai miei allievi, non parlo soltanto della sicurezza sul lavoro, ma della sicurezza in casa, a scuola, per strada affinché siano consapevoli dei rischi che corrono in ogni momento della giornata. Saranno loro i lavoratori di domani ed è giusto che imparino da subito le regole da applicare nel corso della vita. La sicurezza dovrebbe essere integrata nei piani didattici e non soltanto nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro.
– Dunque ritiene che la condivisione, attraverso momenti di incontro, possa rafforzare i concetti di prevenzione e di solidarietà?
La partecipazione sociale è di primaria importanza e va rafforzata. Sono ancora sporadiche le presenze di testimoni del mondo dello spettacolo e della cultura che accettano di veicolare i concetti di prevenzione e di sicurezza sul lavoro. Conosco l’impegno dell’ANMIL su questo piano e credo che la sua attività vada ulteriormente sostenuta per raggiungere un obiettivo che dovrebbe essere comune: ridurre le vittime del lavoro e le malattie professionali, che pure hanno un incremento spaventoso. E se, da un lato, il compito della scuola è quello di formare le nuove generazioni, dall’altro ci dovrebbe essere un contributo costante della società civile per vincere, tutti insieme, questa guerra.
– I social e la rete possono aiutare a diffondere messaggi come questi?
Sì, certamente, come scrivo anche nel libro. Il movimento a cui penso comincia a svilupparsi proprio attraverso i social, con il tam tam, sia a livello locale che nazionale. Occorre più impegno a tutela dei lavoratori, che sono la spina dorsale di questo Paese. Nessuno deve morire sul lavoro.
– Lei ha pubblicato alcuni saggi sul tema della sicurezza degli impianti elettrici. Il suo impegno nasce da qualche storia personale che l’ha colpita?
Anche se non sono mai stato colpito da una tragedia, negli anni ’90 ho incominciato a riflettere seriamente sul tema della sicurezza sul lavoro e mi sono iscritto ad alcuni corsi. All’epoca si studiavano ancora le norme del DPR 547 del 1955 e i percorsi formativi erano tutti da costruire. È stato però un articolo sulla sicurezza pubblicato dal CPT, l’organismo paritetico degli Edili, che ha fatto scattare in me la molla per incominciare ad occuparmi di prevenzione degli incidenti sul lavoro. Ha preso così il via la mia attività di formatore.
– Nella seconda parte del libro lei ha inserito uno schema dei grandi rischi che colpiscono il nostro paese e spiega come affrontarli. Dal romanzo dunque si passa ad un manuale vero e proprio?
Quando ho raccontato la parte relativa ai rischi nell’ambito dei diversi settori lavorativi, ho voluto allargare il discorso alle grandi catastrofi, come terremoti, incendi, eruzioni vulcaniche, alluvioni, frane. Ho creato un piccolo manuale, intitolato “La Ruota degli Eventi”, per sapere come comportarsi in certe situazioni e salvare la vita grazie all’applicazione di alcune regole di buon senso, che ho chiamato “Le Regole di Autodifesa Civile”. Il testo può diventare un programma didattico, non solo per le scuole, ma anche per gli adulti, in quanto offre un quadro di situazioni che vanno al di là del mondo del lavoro e che possono coinvolgere tutta la popolazione.
– Per concludere, il suo è un percorso in divenire. Farà altre iniziative editoriali su questo tema?
Dopo i saggi e i romanzi, sto scrivendo un altro libro che si intitola “Cacciatore di guasti”. Il racconto prende le mosse da un blackout dell’impianto elettrico di una città, dietro il quale si cela un atto terroristico. Una storia fantastica. Ma, come spesso accade, a volte la fantasia supera la realtà.
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