Intervista a Renzo Rubino, cantautore tarantino star del Disability Pride

La musica deve far riflettere e consentire ad ognuno di superare il proprio muro

Il giorno prima era a Rimini e il giorno dopo doveva essere in Salento. Renzo Rubino non voleva però rinunciare a salire sul palco del Disability Pride di Roma. E così, il 15 luglio scorso, quando non era ancora calato il sipario su Piazza del Popolo, è ripartito per la Puglia. Adesso è in Sicilia, ad Adrano, un piccolo centro del catanese, dove ha appena tenuto un concerto e dove ha deciso di prendersi una breve pausa, prima di riprendere il suo tour estivo. Trentenne, tarantino, di poche parole piene di contenuti, il cantautore si autodefinisce provocatoriamente un “macabro circense”. Ancora non mi sa spiegare quale sia il suo genere musicale: un po’ classico con contaminazioni provenienti dall’opera, un po’ ritmico con elementi di derivazione hip-hop. “Quando lo scoprirò, ti prometto che te lo dirò” afferma con ironia. E aggiunge che il suo mentore è Lucio Dalla. Con lui ha scambiato soltanto qualche parola al telefono, prima di un concerto a Bologna, poco tempo prima che morisse. Gli restano le sue canzoni che ascolta tutte le volte che, mentre scrive un testo, non trova le parole giuste. “Grazie a Lucio – mi confessa Renzo Rubino – non ho più avuto paura di dire le cose a modo mio”. Di fatto l’intervista è già incominciata, ma ecco le dieci domande e le dieci risposte di rito.  

Immagine correlata-Perché hai accettato di partecipare al Disability Pride?
Io sono molto amico di Mariella Nava e sono un ammiratore della sua musica, che oggi rappresenta anche un modo per essere vicini ad un certo tipo di tematiche. Le canzoni sono soltanto canzoni, ti fanno divertire, ti fanno star bene, ma proprio perché sono calamite, bisogna fare in modo che portino l’attenzione su tematiche sociali importanti, che a volte passano in secondo piano. Mariella mi ha chiamato, mi ha spiegato di che cosa si trattava e io avevo voglia di esserci, di cantare per l’ANMIL, per il Disability Pride Onlus e per lei.  

– Tu hai partecipato anche ad altri eventi sociali. Penso ad “Un palco per Amatrice” dopo il terremoto che ha colpito il centro Italia. Credi che la comunicazione sociale  passi anche attraverso la musica? 
Sì, deve farlo, ma – ripeto – non deve essere soltanto una forma ricreativa per far passare una bella giornata. La musica può accendere un faro su tematiche importanti e poi però ci devono essere persone che si danno da fare affinché le cose avvengano. Ho conosciuto il sindaco di Amatrice, una persona combattiva ed entusiasta, ma l’ho trovato affaticato e abbandonato dalle istituzioni perché – come sappiamo – i luoghi colpiti sono difficili da gestire e la burocrazia crea un sacco di problemi. Ho fatto diverse manifestazioni per essere vicino alle popolazioni terremotate e ho anche giocato con la Nazionale di Calcio Cantanti. Con Mariella Nava ci siamo incontrati tante volte, abbiamo fatto cose insieme e spero che ne faremo altre in futuro. Ci lega un’amicizia importante. 

– Che cosa hai cantato sul palco del Disability Pride e perché questa scelta?
Ho cantato il pezzo di Sanremo “Custodire”, una colonna sonora molto bella che, ovunque la metti, funziona sempre. Parla della separazione di due persone adulte, che hanno fatto insieme un cammino importante. Si rivedono e si dicono: è stato un casino tra di noi, abbiamo coltivato male i nostri rapporti, ma cerchiamo di custodire qualcosa di buono, facciamolo per noi, facciamolo per i nostri figli. E poi ho cantato “Futura” di Lucio Dalla, che è stata scritta da lui davanti al muro di Berlino, in una pausa dopo un suo concerto. Parla di una storia d’amore tra due persone divise da un muro. Una divisione che può essere immaginaria e non soltanto reale. Questo muro può rappresentare anche il muro che a volte ci impone purtroppo la vita, la nascita di un amore nonostante le avversità. Ma il muro è soltanto un muro, bisogna semplicemente trovare il modo di saltarlo, di superarlo e di vivere la propria vita in modo sereno, nonostante il muro. Se ci pensiamo bene, siamo tutti in qualche modo diversamente abili. Tutti quanti abbiamo delle abilità o dei luoghi dove poterci esprimere al meglio. Ognuno insomma, secondo me, ha il suo modo di essere in questo mondo. 

– Ti era mai capitato in precedenza di vedere la tua canzone tradotta nella Lingua dei Segni? 
Per me è stata una cosa molto emozionante. Non mi era mai successo ed è stato un momento incredibile. Mentre cantavo il mio pezzo, mi fermavo sulla ragazza che traduceva per me la canzone e riuscivo a vedere la musica anche attraverso la sua gestualità. È stato bellissimo.

– Nella tua carriera hai collezionato tanti premi. Ne cito uno per tutti: il “Premio della Critica del Festival della Canzone Italiana “Mia Martini” nella Categoria Giovani a Sanremo 2013. C’è un premio a cui sei particolarmente legato? 
Non lo so. I premi non li sento miei, mi piace condividerli con la mia squadra e con le persone che hanno fatto in modo che fossero una cosa di tutti. Nel caso de “Il postino” c’è stato veramente un lavoro di gruppo, dagli arrangiatori a chi ci ha creduto.  Però la cosa più importante per me è cantare le canzoni ed essere vicino al pubblico e a chi sceglie le mie tematiche. I premi fanno piacere perché ti riportano indietro a pensare quanto sia stato faticoso e quanto continui ad essere faticoso fare questo mestiere. I premi fanno bene per questo, ma la musica viene prima di tutto. 

– Che cosa prevede la tua prossima stagione musicale? 
Adesso sono in giro, sto suonando, ma oltre ad essere in concerto sto costruendo il mio futuro prossimo. Ancora non posso comunicare quello che farò, ma sto lavorando su qualcosa di nuovo che prenda forma. Cambiamenti in vista insomma. 

– Tu sei tarantino come la tua amica Mariella Nava, anche se sei cresciuto a Martina Franca e hai lavorato tanto all’estero, costruendoti da solo giorno dopo giorno. Che cosa ti ha ispirato la tua terra?
Questa terra è stata fondamentale perché tante mie canzoni riguardano la Puglia, la lentezza e la bellezza del territorio. Con l’ultimo disco “Il gelato dopo il mare” ho voluto dimostrare che si poteva fare qualcosa di impegnativo anche stando “giù”. Questo disco è stato infatti completamente concepito, scritto, realizzato in Puglia e quindi è inevitabile che la Puglia faccia parte di me. E poi, tante tematiche, io le prendo dal “piccolo”, dalle cose che succedono attorno a me, in famiglia. Nel “piccolo” ci sono storie gigantesche da raccontare. Le piccole storie sono quelle universali. 

– Dire Taranto significa anche dire ILVA con i tanti veleni che continuano a tormentare il mondo del lavoro. Come vivi questa realtà? 
Ogni volta che torno a Taranto c’è una strada meravigliosa che dal mare porta a Taranto e che da Taranto porta poi a Martina Franca. E quando arrivo a Taranto e vedo il tramonto che va a finire sui fumi dell’ILVA, mi viene il magone perché non ci può essere qualcosa che, con la bellezza di Taranto, non c’entra niente. La bellezza di una città pazzesca, piena di storia, di posti stupendi e di gente che si dà da fare per farla crescere sempre di più. Secondo me l’ILVA è stata per tanti anni un problema gravissimo e mai veramente risolto. Continuano ad esserci migliaia e migliaia di tumori e di polveri che volano per alcuni quartieri della città e del circondario. Io sono dell’opinione, come tanti, che l’ILVA sia un problema che deve essere risolto presto. E fra i tanti metto innanzitutto gli amici dell’Uno Maggio di Taranto, con i quali ho celebrato la festa del lavoro due anni fa. 

– Puoi mandare un messaggio a tutte le persone con disabilità che non hanno ancora trovato la forza per superare il loro handicap? 
Ognuno di noi, come ho detto, ha il suo muro e le sue difficoltà. Tutti quanti, tutti allo stesso modo. E ognuno deve trovare il modo di vivere non solo pensando a questa difficoltà, ma cercando di trovare il suo talento, per alimentarlo e renderlo motivo di vita delle sue giornate. Ma non sono certo io a poter dire questo, ci sono tantissime persone che possono farlo meglio di me. Mi viene in mente Bebe Vio, che è piena di entusiasmo per la vita. Ci sono tantissimi esempi da seguire.  

– Ripeterai l’esperienza del Disability Pride a Roma?   
Spero di sì, se Mariella Nava e Marinella De Maffutiis dell’ANMIL mi inviteranno. È una esperienza che merita di essere ripetuta, assolutamente. Certo che ci sarò. 

 

 

2 thoughts on “Intervista a Renzo Rubino, cantautore tarantino star del Disability Pride

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