La forza della vita del cantante e il suo amore per le persone inutili
Da Firenze, a Viterbo, a Roma. Destinazione Piazza del Popolo per il concerto del Disability Pride del 15 luglio scorso. Paolo Vallesi sta girando con la sua Band in su e in giù per l’Italia. Un’estate senza tregua – dice – che prelude ad una conclusione del 2018 esplosiva. Con un occhio alla piazza ed uno al sociale, il cantautore fiorentino è fedele a quel principio di fondo “io per gli altri”, che lo ha accompagnato per tutta la vita e che lo ha portato ad “essere” laddove c’è bisogno. Lo stesso principio che lo vede spesso insieme all’amica di sempre Mariella Nava, testimonial dell’ANMIL. La prima domanda è d’obbligo e il “tu” viene spontaneo.
– Perché hai accettato di partecipare al Disability Pride?
Ho accettato dopo avere ricevuto l’invito di Mariella Nava, che ha reputato che la mia presenza e miei i temi musicali fossero in linea con questa manifestazione. Personalmente mi ha fatto piacere partecipare perché ho ritenuto questa idea molto bella, qualcosa che mi convinceva. E così ho fatto lo “sforzo” di suonare in Piazza del Popolo a Roma, uno spazio meraviglioso. Al di là delle temperature che hanno superato i 35 gradi e del pubblico che andava e veniva, la cosa importante è che si sia percepito che quel palco era lì con quel messaggio che voleva mandare. La manifestazione ha però trovato nei social e nella interattività la sua forza maggiore. Va anche considerato che, per molte persone a cui era rivolta l’iniziativa, la presenza non è stata facile e che sicuramente sono stati tanti coloro che si sono collegati in diretta sul web.
– Tu sei sempre stato attento al sociale, a cominciare dalla presenza più che ventennale nella Nazionale di Calcio Cantanti. Credi che la comunicazione sociale possa passare anche attraverso la musica?
La Nazionale Cantanti, a cui appartengo dal 1991, è un po’ la mia seconda famiglia e mi ha messo in contatto con numerose realtà del sociale. Sono davvero tante le associazioni che tutti noi abbiamo aiutato, entrando in contatto diretto con persone impegnate e che spesso sono proprio quelle che hanno vissuto, sulla loro pelle, la malattia di un figlio o di una persona cara. Persone, grazie alle quali ho capito che è possibile trasformare il dolore in qualcosa di utile anche per gli altri. Per questo ci sono situazioni a cui tu non puoi girare le spalle perché è giusto – quando puoi – cercare, nel tuo piccolo, di dare un contributo.
– Quali realtà hai in particolare incontrato con la Nazionale di Calcio Cantanti?
Ho visto realtà che non avrei mai potuto avvicinare in altro modo. Penso, ad esempio, all’Ospedale Pediatrico numero 20 di Mosca. Sono trascorsi ormai 25 anni e ricordo ancora i bambini che arrivavano con le gambe rotte, a causa di numerosi incidenti stradali dovuti per lo più all’ubriachezza dei conducenti. Venivano tenuti con i pesi sulle gambe e sottoposti a cure arcaiche, che mi ricordavano i secoli andati. Lì abbiamo portato macchinari d’avanguardia, così come abbiamo fatto all’Ospedale Gaslini di Genova, dove un’intera ala è stata costruita con i proventi della Nazionale Cantanti. Lo stesso è accaduto all’Ospedale Pediatrico Meyer, che è diventato una vera e propria istituzione per Firenze. E io, da fiorentino, mi riempio d’orgoglio quando vedo la targa che ricorda l’impegno della Nazionale Cantanti per la costruzione di un intero reparto e penso di essere di fronte a qualcosa a cui ho contribuito anch’io. Il coinvolgimento nel sociale diventa obbligatorio ogni volta che lo vedi con i tuoi occhi.
– Sul palco del Disability Pride sei salito insieme all’attore Stefano De Sando, che ha chiesto esplicitamente di presentarti. Che cosa hai scelto di cantare e perché?
Stefano ed io tenevamo molto ad essere insieme su quel palco. Ho cantato “Le persone inutili” e “La forza della vita” e poi ho eseguito al pianoforte un duetto virtuale, intitolato “Pace”, con la cantante Amara, che appariva in video e che avevo già presentato lo scorso anno, quando sono stato ospite al Festival di Sanremo. Avere riproposto queste due canzoni ha per me un significato particolare. Soprattutto il testo de “Le persone inutili” parla del mondo del volontariato, di realtà che non stanno mai in prima linea, che nessuno vede e che però cercano di fare del bene al mondo. Un vero e proprio paradosso, come spiego nella canzone, perché sono quelle persone che non vanno mai sui giornali e che non riusciremo mai a toccare per cogliere il loro livello di umanità e di utilità. Un particolare molto bello – che voglio ricordare – è che sul palco con me c’erano le ragazze della Lingua dei Segni, che traducevano le canzoni. Quando ho incominciato a cantare “Le persone inutili”, ho visto che è uscita di scena un’interprete e ne è arrivata un’altra, che poi è venuta da me, mi ha abbracciato e mi ha detto: “Tu non sai che cosa significa per me questa canzone, per cui l’ho voluta tradurre e interpretare io perché era troppo importante”.
– Ti era mai capitato in precedenza di vedere la tua canzone tradotta nella Lingua dei Segni?
È stata la prima volta. In precedenza ero stato soltanto un ascoltatore e vedevo gli interpreti della LIS mentre traducevano gli altri. Non sapevo che potessero tradurre anche la musica, ma potrei dire accompagnare la musica, come se fosse una coreografia, in modo del tutto naturale. Questa è stata la prima volta che mi è accaduto dal vivo e sono stato spettatore della mia esibizione. Per me è stato uno spettacolo nella spettacolo perché guardavo la loro capacità di interpretare, quasi fosse una fotografia. Prima o poi spero, in qualche modo, di riuscire a inserire questa lingua in una canzone, in una produzione, in un audiovideo, perché credo che possa affascinare gli altri come ha affascinato me. Spero di essere pioniere in questo.
– Che cosa è per te la forza della vita?
È una cosa che ho detto tante volte e che, alla fine, è talmente vera che si spiega in due parole. Quando ho scritto “La forza della vita”, l’ho scritta per me stesso, l’ho scritta senza poter poter immaginare che potesse diventare così famosa nel corso degli anni. È una canzone che è stata tradotta in non so quante lingue ed eseguita in tanti paesi e che anche ora, dopo 25 anni, viene riproposta nel mondo, dall’Argentina alla Spagna, dalla Germania all’Australia. Quando si scrive una canzone non si ha il polso di quello che si scrive. Soltanto in seguito mi sono reso conto che questa canzone è diventata, nel corso degli anni, a volte una compagnia, a volte un sostegno per tante persone che avevano un problema vero nella vita. Mi sono così trovato nell’imbarazzo di ricevere tante testimonianze di affetto immeritate. C’è chi mi ha detto “la tua canzone mi ha aiutato in questo momento” oppure “senza la tua canzone io non so cosa avrei fatto”. Tutto questo è imbarazzante per una persona che scrive, che non pensa di meritarselo perché, quando scrive, lo fa per sè. Si vede che conteneva una magia, un qualcosa che era dentro. Voglio pensare che in quel momento, nella scrittura, fossi ispirato da qualcosa di più grande e che questo sia arrivato a tantissime persone. E questa è la storia più importante che la musica mi ha dato. Dopo 25 anni la SIAE ha certificato che “La forza della vita” è diventata un evergreen, per cui farà parte per sempre del repertorio popolare della musica italiana. Quando ho incominciato a cantare e a scrivere – ero un ragazzino di 12 anni – sognavo di poter fare qualcosa che durasse nel tempo. Oggi posso dire che ci sono riuscito.
– Su che cosa stai lavorando in questo periodo e che cosa prevede la tua prossima stagione musicale?
Quest’anno sarà particolare per i concerti che farò con la mia Band in Italia con appendici nell’Est Europa, in Ucraina, Estonia, Lettonia e Russia. Il finale del 2018 sarà molto live e molto nuovo perché non sono mai andato in tutti questi paesi.
– Fra le tue amicizie musicali hai menzionato Mariella Nava, che ti ha invitato anche al Disability Pride. Come è nato questo rapporto?
Conosco Mariella da tantissimi anni e devo dire che con lei c’è sempre stata un’affinità, sia personale che musicale, perché apprezzo molto il suo modo di scrivere e l’idea che ha della musica. Mariella è una persona fuori dagli schemi, dal mainstream ed è ancora una che, come me, considera la canzone il valore più importate in un mondo in cui invece le cose più importanti sono diventate quante visualizzazioni hai o come promuovi un pezzo o quanto riesci ad essere “figo” nelle cose che fai. Lei è un’artista che pensa a quello che dice e a quello che scrive. Io la adoro per questo e spesso siamo in sintonia e ci chiamiamo a vicenda per ritrovarci in alcune manifestazioni perché capiamo che ci sono cose che dobbiamo fare.
– Puoi mandare un messaggio a tutte le persone con disabilità che non hanno ancora trovato la forza per reagire?
In realtà penso che la forza sia dentro di sé e che, in qualche modo, è là che la si debba trovare quando si capisce che è il momento. A volte anche una piccola canzone può servire a far scatenare quel click che ti dà la voglia di crederci un po’ di più e di far sì che le cose possano andare meglio. Ho conosciuto tantissime persone con problemi e l’invito a “non abbattersi mai” è forse troppo scontato, anche se però è la realtà. La cosa più importante è pensare che comunque si possa migliorare, che comunque si possa stare bene, così come si è, e che comunque si possa riuscire a vivere serenamente, senza sentirsi diversi dagli altri. La forza dell’arte penso contribuisca proprio a questo. E la musica è un veicolo straordinario, trasversale a tutti, un messaggio che può essere ricevuto secondo tante chiavi di lettura diverse, dalla più superficiale alla più profonda, perché una canzone le contiene tutte.
– Ripeterai questa esperienza in Piazza del Popolo a Roma?
Direi di sì, ma consiglierei di organizzarla un mese prima per evitare quei 35 gradi di temperatura e favorire un maggiore afflusso di pubblico in una location meravigliosa. Nonostante tutto, per me è stato bellissimo suonare su un palco di fronte all’obelisco di Piazza del Popolo, sotto la luna e davanti al pubblico che era lì ad ascoltare il concerto. Non vorrei che questo rimanesse un fatto isolato e mi piacerebbe che ci fosse un’altra edizione del Disability Pride perché tutti abbiamo capito che è stata una gran bella cosa e che però – come dicono alcuni miei amici – “si può dare di più”.
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