Intervista a Federico Martello, il cantante che ha abbattuto le barriere architettoniche

Da Partinico a Bergamo, il cantautore Federico Martello, 36 anni, ha incominciato a girare per concorsi e per festival quando di anni ne aveva 24. È stato il suo agente, Giancarlo Cicolari, che lui preferisce definire “la mia famiglia”, ad accompagnarlo in Italia e nel mondo, condividendo tutti i suoi successi. “Non è facile per un disabile, che per di più si è anche infortunato sul lavoro, salire su un palco ed affrontare il pubblico da una sedia a rotelle” mi dice questo artista, che ha una voce bellissima anche quando parla. Ma poi aggiunge subito: “Quando arriva però il momento di cantare, io non penso più a nulla, canto e basta”. Ma incominciamo l’intervista con una data: il 2012. 

Che cosa è accaduto in quell’anno? 
Ho avuto un infortunio sul lavoro e mi sono subito rivolto all’ANMIL, a cui sono tuttora iscritto. Sono disabile dalla nascita e questo fatto ha aggravato la mia situazione. Nel 2012, dopo essere stato negli Stati Uniti, avevo cantato nel tour dei ragazzi “Ti lascio una canzone” con Antonella Clerici e avevo anche ripreso a lavorare in un’azienda di servizi perché in Italia, purtroppo, non si può vivere di sola musica. I primi quattro anni, dopo l’infortunio, sono stati davvero duri perché la mia patologia è regredita allo stadio iniziale, creandomi un ipertono muscolare. Ma la mia vita è ricominciata da quel momento lì.

Nascere senza l’uso delle gambe a poi subire un infortunio sul lavoro. Crede che ci siano vite più sfortunate di altre o siamo noi a costruire il nostro destino? 
Grazie a mamma e papà, ho imparato che tutto quello che è negativo può essere trasformato in positivo. Da piccolo mi vergognavo e non volevo passare per la piazza delle mia città perché mi sentivo osservato, ma i miei genitori mi dicevano che non dovevo avere paura di nulla. Il nostro destino a volte è determinato da influenze esterne, non lo costruiamo da soli. La bravura di una persona sta nel cercare di imparare dalle cose storte e di trovare anche in queste il lato positivo. Non sono qui a dire che vivere con una disabilità sia una cosa facile, ma credo che non serva piangersi addosso. Capire i propri limiti ed accettarli è fondamentale per crescere. Neppure una persona normodotata può saper fare tutto. Per questo è importante convivere con i propri limiti.

Come è nata la sua passione per la musica? 
È una passione che ho avuto fin da piccolo. Vivevo in una famiglia con la musica nel sangue. Uno dei miei fratelli maggiori era bassista e io lo ascoltavo tutto il giorno. E così ho incominciato in tenera età ad interessarmi al pianoforte e a canticchiare fino a quando, dalla Sicilia, mi sono trasferito in Toscana con la famiglia e lì ho incominciato il mio percorso didattico e vocale. 

Al di là del talento, quanto hanno influito le sue difficoltà motorie sulla crescita artistica? Gli accessi alle scuole di canto e alle sale di registrazione hanno ostacolato il suo percorso? 
La vera difficoltà non è stato tanto frequentare le accademie e le sale di registrazione perché, sotto questo aspetto, ho incontrato sempre persone molto intelligenti che mi hanno dato una mano affinché potessi frequentare le lezioni e gli studi di registrazione. Il problema si è posto quando sono entrato nel mondo dello spettacolo vero e proprio, a cominciare dalla televisione. Lì ci sono dei muri che difficilmente si abbattono. Muri mentali, decisamente peggiori di quelli fisici che, in qualche modo, possono essere superati. Qualche anno fa ho partecipato a vari talent italiani e la risposta che ho ricevuto è sempre stata la stessa: sei bravissimo, hai una voce magnifica, ma non vogliamo fare pietismo in TV. 

A proposito dell’abbattimento delle barriere architettoniche, pensa che stia cambiando qualcosa in Italia? E poiché lei viaggia molto anche all’estero, come vede le sensibilità fuori dal nostro paese? 
Penso che in Italia, a livello di sensibilità nell’ambito dello spettacolo, sia cambiato ben poco dall’epoca di Bertoli e di Taioli. Non si vedono persone disabili cantare su un palco: ci sono gli ipovedenti, ma non i disabili motorii. Non c’è stato un passo in avanti, tutt’altro, si è rimasti fermi. Cosa che non ho riscontrato all’estero: in Inghilterra, Polonia, Spagna, Russia, Buriazia, per citare soltanto alcuni dei paesi in cui sono stato. Diciamo tanto che la Russia deve imparare da noi, ma anche noi dobbiamo imparare dalla Russia, dove se sei meritevole ti mandano avanti, sia che tu sia disabile, sia che tu non lo sia. In TV, sulla Rai, io sono stato una sola volta, a Castrocaro, dove ho ricevuto il premio per la migliore tecnica di interpretazione. Un’altra volta sono passato in televisione con “Io canto”, un festival che mi ha visto in finale al Teatro Cilea di Reggio Calabria.

La carrozzina fa paura? 
Fa paura la disabilità motoria. Da telespettatore seguo tutti i programmi musicali, dentro e fuori la televisione, perché penso che ci sia sempre da imparare da tutti. E quando vedo che, in qualunque spettacolo, non c’è mai una persona con disabilità motoria, mi sorge un dubbio perché di ragazzi disabili, dotati di talento, ne ho incontrati tantissimi, ma non ne ho mai visto uno in TV. E questo fa pensare che non siamo poi così avanti come diciamo di essere. Non voglio ergermi a super eroe, ma per tante persone potrei rappresentare uno stimolo in più. Per quanto mi riguarda, non sono mai stato attirato dal fatto di voler essere famoso. A me piace piuttosto essere importante per gli altri. Ricordo una mia fan americana, che aveva perso il marito ed era caduta in depressione e che, avendomi sentito cantare su My Space, mi diceva di essere rinata. Queste sono le cose che mi riempiono di orgoglio. E di riscontri ne ho avuti tanti, come quando in Buriazia ho conosciuto un’associazione che si chiama “Società senza barriere”, interamente composta da persone su sedia a rotelle, che mi dicevano: “Ti stimiamo per quello che fai perché non è facile andare su un palco e metterci la faccia, facendo capire al mondo che tu esisti al di là della tua disabilità”. Altro che pietismo! In Italia c’è ancora molta strada da fare sul piano degli investimenti nel mondo della cultura. 

La musica può essere un valido strumento per abbattere le barriere e favorire la cultura della prevenzione anche nell’ambito del lavoro?
Ritengo che la musica sia uno strumento potentissimo a livello comunicativo per veicolare messaggi positivi, specie in un’epoca come questa in cui si sono persi di vista alcuni obiettivi. Credo che gli artisti debbano essere i primi a sentire l’obbligo morale di utilizzare questo tipo di comunicazione per far arrivare, nelle teste e nei cuori delle persone, messaggi di tolleranza. La musica è un veicolo sicuramente più efficace di tanti comizi fatti in televisione e sulle piazze.

Chi le è stato più vicino nella vita? 
Ho la fortuna di avere un manager, Giancarlo Cicolari, che anche è il mio migliore amico, che mi segue da più di 12 anni e che ha creduto fortemente in me, iscrivendomi a tanti concorsi nazionali ed internazionali. Ho anche una bellissima famiglia che, pur non essendo vicina – perché io vivo in Lombardia e i miei genitori e i miei fratelli in Toscana – mi segue continuamente e non passa giorno che non mi faccia una telefonata. Aggiungo che, anche se vivo da solo, ho molti amici che sono sempre pronti ad aiutarmi, in caso di necessità. Quando ho subito l’incidente sul lavoro nel 2012, sono andato avanti soprattutto grazie ai consigli dell’ANMIL e non posso dire di avere trovato supporto nelle istituzioni. Ho ricevuto un indennizzo dall’INAIL, ma è finita lì. Oggi ho un piccolo accompagnamento, essendo disabile al cento per cento. 

Apro una parentesi sul tema “Sesso e disabilità”, che è una delle battaglie dell’ANMIL. Che cosa pensa in proposito?
Anche se per fortuna non vivo questo problema, mi rendo purtroppo conto che, culturalmente, il disabile viene associato molto spesso ad una persona asessuata. Ma non è così perché il disabile ha gli stessi bisogni delle altre persone, dalla voglia di svago a quella di sessualità e di tenerezza. Condivido questa battaglia dell’ANMIL. Nelle nuove generazioni però le sensibilità sono cambiate. Me ne rendo conto osservando i miei nipoti. Oggi non c’è più quello stupore di fronte ad una persona in carrozzina. Ma come sempre le reazioni dei bambini riflettono quello che hanno appreso dai loro genitori. 

Se tornasse indietro, c’è qualcosa che non rifarebbe? 
Se anche nella mia vita ci fossero stati errori, li rifarei perché mi hanno comunque insegnato qualcosa. Non mi pento di nulla perché anche un fatto che, in un primo momento, può sembrare molto brutto, poi ti aiuta a crescere. Un concetto, questo, che è stato scritto da me, Marco Canigiula e Federico Lodi Rizzini nel singolo che si trova su iTunes: “Non esiste il destino, la vita è scelte e conseguenze, però c’è sempre una seconda occasione per riscrivere il finale”. 

Qual è il suo successo più grande?
Nel campo musicale ho avuto la fortuna di girare il mondo con la musica e ci sono riuscito malgrado tutto. Non saprei indicare un momento più importante di un altro, perché ogni tappa è stata per me una fase di crescita. ll mio primo concorso è stato il festival di Saint Vincent e per me è stata una cosa grande perché ho conquistato il terzo posto e, prima di allora, non mi ero mai esibito prima davanti a tante persone. Posso dire che, in Italia, il Festival Show ha rappresentato sotto questo punto di vista uno dei più emozionanti perché ho cantato davanti a 40.000 persone. E poi c’è stato il festival a cui ho partecipato quest’anno in Russia, dove sono arrivato inaspettatamente primo perché ero fuori dal mio paese, cantavo in una lingua che non era la mia e di fronte ad un pubblico di cui non conoscevo le reazioni. L’ultima esperienza è stata quella in Siberia, dove ho cantato in un teatro davanti a 2.000 persone, sapendo però che la ripresa televisiva sarebbe stata vista da più di 60 milioni di spettatori sui primi canali di Russia, Cina e Mongolia.

Fra le numerose iniziative, l’ANMIL organizza concerti di sensibilizzazione. Tra i tanti artisti che sono vicino all’Associazione, cito per tutti Mariella Nava che è anche testimonial delle vittime del lavoro. Si potrebbe ipotizzare un suo coinvolgimento in una di queste iniziative? 
Certo, ben volentieri. A luglio sono stato invitato in una località del Lago Bajkal, in Curiazia, non solo per cantare, ma anche come relatore ad un forum sull’accessibilità. Ogni giorno arrivano richieste di associazioni russe di disabili che, dopo avermi visto e sentito, desiderano raccogliere la mia esperienza e il mio incoraggiamento. Potrei essere anch’io un testimonial dell’ANMIL e per me sarebbe un onore. Aggiungo, che nel giugno dello scorso anno, sono diventato membro del Disability Arts International del British Council, nell’ambito di un progetto dell’Unione Europea che ha l’obiettivo di promuovere le eccellenze degli artisti con disabilità.

Che cosa farà in futuro?
Ho scritto un brano che ho presentato, purtroppo senza successo, a Sanremo Giovani e che tirerò fuori al momento giusto. Si chiama “Come sabbia”, parla della paura del diverso e dice che noi siamo come sabbia: visto da vicino ogni granello è infatti diverso dall’altro, ma visto da lontano appare soltanto come una distesa di sabbia. Noi camminiamo su una spiaggia e non su un granello. Per questo dobbiamo abituarci a vedere l’insieme, il plurale. Se fossimo tutti uguali, avremmo un mondo di replicanti. E sai che noia! Per il futuro ho in programma dei progetti musicali e alcuni festival. Attendo una conferma dalla Russia, dove tornerò e dalla Cina, dove andrò per la prima volta.