Intervista ad Alessio Falconio, da cinque anni Direttore di Radio Radicale

Intervista al Direttore di radio radicale Alessio Falconio che lancia l’appello al Parlamento per la continuità della vita dell’emittente. Consapevolezza e formazione per prevenire le morti sul lavoro.

Non avevo mai avuto occasione di fare una chiacchierata con Alessio Falconio, da cinque anni Direttore di Radio Radicale, anche se in tanti mi avevano parlato con entusiasmo di lui. L’ultima persona, in ordine di tempo, è stata Marinella De Maffutiis, che coordina l’Ufficio Comunicazione dell’ANMIL e che mi ha proposto di fare questa intervista. Ho raggiunto Alessio al telefono e gli ho parlato a lungo mentre passeggiava per Roma, tra un impegno e l’altro della redazione. È stato gentile e disponibile. Non poteva che essere così, data la sua lunga militanza al servizio dei diritti e del sociale. Ma il suo pensiero è andato subito al futuro di Radio Radicale, voluta da Marco Pannella nel 1976 e messa in forse dalla decisione del governo di tagliare i fondi all’editoria. La data da oltrepassare è quella del 20 maggio 2019, prevista per la fine delle trasmissioni dell’emittente. Esplicito l’appello di Alessio Falconio al Parlamento nazionale di attivarsi per proseguire la diffusione delle sedute dei lavori parlamentari da parte di Radio Radicale. Di questo e di tanto altro abbiamo parlato nell’intervista, che ha preso il via dall’impegno per le vittime del lavoro. 

Tu hai sostenuto, sin dalla prima edizione, il premio “Pietro Di Donato” di Taranta Peligna e hai supportato il Sindaco, Marcello Di Martino. Perché ci hai creduto?
Ho ritenuto questo premio una grandissima iniziativa che, anche grazie all’importante partnership dell’ANMIL, ha potuto mettere radici ben salde. È fondamentale che il premio vada avanti soprattutto perché si tiene in un paese che – come ha detto il Presidente della Giuria, Fausto Bertinotti – ha cercato di andare oltre la sua vocazione montana e turistica. Per Taranta Peligna è importante rivendicare, da un lato, le radici della famiglia dello scrittore che era emigrata in America e ripercorrere, dall’altro, il vissuto di un paese che, per quanto piccolo, aveva conosciuto il dramma delle morti sul lavoro in un’epoca in cui le condizioni erano molto più difficili di quelle di oggi. Il premio mi è sembrato importante soprattutto perché rivolto al mondo dell’informazione, che non sempre ha la giusta attenzione per queste tematiche. Il merito dell’iniziativa è infatti di avere dato strumenti di conoscenza a chi si è avvicinato al nostro mestiere e che, non a caso, ha trovato la preziosa collaborazione dell’ANMIL.  

Tu hai mandato in onda su Radio Radicale numerosi speciali sugli incidenti sul lavoro, l’ultimo dei quali a firma di Daniela Sala. Si tratta di un tema centrale nella programmazione dell’emittente?  
Sicuramente perché penso che, in questo paese, come diceva Marco Pannella – che ha inventato la radio che ho l’onore di dirigere – ci sia stata una contraddizione tra l’alto numero di lavoratori sindacalizzati e l’alto numero di incidenti sul lavoro. E quindi bisognava capire il perché. Marco ripeteva che questa realtà va raccontata perché una radio, essendo uno strumento di informazione, deve farlo. Poi, nella scelta delle cose che si raccontano e di quelle che non si raccontano, ci sono dei temi che vanno al di là della mera cronaca e da lì bisogna partire. Ecco perché abbiamo voluto fare questi approfondimenti. In Italia la battaglia dei morti sul lavoro ha avuto, nell’ultimo decennio, un risveglio di attenzione anche grazie al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il Premio Di Donato è nato infatti sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, che poi è continuato con il Presidente Sergio Mattarella. In questa ottica abbiamo scelto di raccontare questo dramma, che anche oggi si continua a vivere. Il padre di Pietro Di Donato, un abruzzese che era emigrato negli Stati Uniti, è morto sul lavoro e adesso la stessa tragedia riguarda molto spesso migranti che arrivano in Italia. E non solo migranti. 

Parlando di sociale, quali sono le battaglie più importanti di Radio Radicale?
Se parliamo di sociale, le battaglie per i diritti civili sono anche battaglie per i diritti sociali. Il diritto al divorzio e la lotta contro l’aborto illegale, per esempio, sono state battaglie di classe, perché hanno colpito soprattutto i ceti più poveri della popolazione. E questo è accaduto anche per il fenomeno delle vedove bianche, dei matrimoni indissolubili con uomini che andavano a lavorare al di là dell’oceano. Un’altra battaglia del mondo radicale, con un connotato sociale fortissimo, è quella contro il proibizionismo delle tossicodipendenze. Proprio in questi giorni abbiamo ricordato come, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, la legge Jervolino-Vassalli sulla droga abbia prodotto una devastazione fra gli strati più giovani della popolazione. Basta pensare a quanti ragazzi sono stati in galera per uno spinello. Adesso si torna a parlare di questa legge perché il Ministro Salvini ha annunciato la volontà di mettere in discussone e di sanzionare il concetto di modica quantità, prospettando un ritorno ad un passato non bello. Anche questa è una battaglia sociale perché sono sempre gli strati più poveri e indifesi della popolazione che pagano in modo maggiore scelte punitive. Lo diceva Pannella e anche noi lo ripetiamo nello spot del notiziario antiproibizionista, che Roberto Spagnoli cura ogni settimana sulla nostra radio e che dice: “Se tu vuoi vietare l’esercizio di una facoltà umana che per qualsiasi motivo è praticata a livello di massa, tu fallirai e sarai costretto all’illusione autoritaria del potere che colpisce il colpevole e lo colpisce a morte”. In Italia è stato molto interessante anche il dibattito nella sinistra ex Pci-Pds-Ds, in cui i radicali erano vissuti un po’ come il partito delle libertà borghesi contro i bisogni di classe. Pannella invece ha sempre detto che questa non era una contrapposizione giusta e che anche queste erano battaglie sociali. Per quanto riguarda poi la legge 40 sulla fecondazione assistita, è interessante ricordare che soltanto chi si poteva permettere di andare all’estero poteva aggirare i divieti previsti dalla normativa, mentre in seguito la legge è stata dichiarata incostituzionale, in molte parti, grazie all’iniziativa dei Radicali e dell’Associazione Luca Coscioni che hanno promosso un referendum. Tutte queste sono battaglie sociali perché riguardano la facoltà di esercitare libertà individuali che, diversamente, sarebbero possibili soltanto per alcuni e non per tutti. C’è un filo che lega queste battaglie e noi le raccontiamo quotidianamente, documentando anche le posizioni contrarie a quella radicale. L’insegnamento di Pannella è stato proprio quello dell’importanza del dibattito e del contraddittorio, perché ci si nutre vicendevolmente. Sono gli indifferenti i veri avversari di chi si impegna in un campo o nell’altro, ferme restando le diversità.

Da giornalista, anch’io sono andata spesso “a scuola” dai Radicali quando dovevo affrontare temi complessi sul piano dei diritti e delle norme. Durante i miei 21 anni in Rai, ho avuto più volte ospite Marco Pannella, in particolare sul problema delle carceri. Un’altra battaglia sociale? 
Certamente. Io ricordo un dibattito in cui Pannella, che cercava spesso il confronto con  Maurizio Landini – erano i tempi in cui l’attuale segretario nazionale della CGIL cominciava ad emergere nel mondo sindacale – gli chiedeva perché non parlasse mai del lavoro nelle carceri, muovendo dal fatto che le guardie carcerarie vivevano in condizioni pietose e che peggio di loro stavano soltanto i detenuti. Marco parlava sempre della comunità dei detenenti, che passavano insieme ai detenuti tante ore della giornata ed erano i primi a pagare, dopo i detenuti, le condizioni di illegalità delle carceri italiane. E anche questa è una battaglia sociale e per la giustizia, di cui voglio ricordare la lunghezza dei processi. Sono tutti temi che attraversano la nostra programmazione quotidiana e che continuano ad essere le nostre battaglie. Non a caso l’Italia ha riconosciuto a Pannella un tributo unanime, proprio nel momento in cui è venuto a mancare, quasi fosse stato riscoperto il 19 maggio del 2016, il giorno della sua morte. Questo personaggio di straordinaria umanità ha attraversato la vita di ciascuno di noi perché le sua battaglie sociali continuano a toccare anche oggi il nostro quotidiano. 

Qual è il valore aggiunto della radio nel mondo della comunicazione veloce di oggi?
La radio è una delle grandi eredità di Marco Pannella perché è lo strumento che ha permesso alle istituzioni di entrare nelle case dei cittadini e ai cittadini di entrare nella vita quotidiana delle istituzioni, attraverso i dibattiti parlamentari in aula, le commissioni, il CSM, i grandi processi, le attività dei partiti e dei sindacati. È un modo per alfabetizzare. Pannella ha parlato di università popolare di Radio  Radicale, un processo di alfabetizzazione istituzionale che difficilmente trova esempi analoghi in altri paesi. A me è capitato di conoscere una ragazza, consigliera comunale a L’Aquila per Fratelli d’Italia –  che è quanto di più lontano ci possa essere dal mondo radicale – e tutti mi hanno fatto i complimenti, quando sono intervenuto per la prima volta nell’assemblea di quel Comune. Avevo semplicemente raccontato che, avendo sempre ascoltato Radio Radicale, sapevo già a memoria come muovermi in un ambito istituzionale perché la radio è una grande scuola. Il Parlamento si è fatto forte, si fa forte e speriamo continui a farsi forte dell’ascolto dei cittadini, visto che il Governo ha deciso che, dal prossimo 20 maggio, il servizio delle dirette radiofoniche dovrà cessare. L’intermediazione non sempre riesce a rendere quella che è la realtà delle aule di Camera e Senato. Ripeto, si tratta di un servizio essenziale soprattutto per la vita delle istituzioni e dei cittadini nel rapporto con le istituzioni. Un rapporto che non può finire il giorno del voto perché si nutre del continuo processo di conoscenza di ciò che succede dentro le istituzioni che il voto dei cittadini ha espresso. Un fatto essenziale per la vita di una democrazia. 

Parliamo allora del valore delle dirette delle sedute parlamentari, che costituisce anche uno dei più grandi archivi politici oggi esistenti.
Parliamo di una storia raccolta in un archivio che è un unicum con oltre 400.000 documenti. Si tratta di testi integrali, schedati e scalettati, intervento per intervento, con una precisione millimetrica che ne annota la durata, il giorno, l’ora, il luogo, il contesto. È un immenso materiale a disposizione di tutti e senza alcun tipo di mediazione. Va anche detto che, grazie al nostro archivio, siamo monopolisti delle sedute del Parlamento dei primi 20 anni di Camera e Senato, cioè dal 1966 a quasi tutti gli anni ’90. Le istituzioni non possiedono nulla di quello che abbiamo noi perché hanno incominciato a registrarsi dopo la metà degli anni ’90. Ero diventato direttore di Radio Radicale da pochi giorni quando, cinque anni fa, mi hanno chiamato dal Senato per chiedermi se potevano utilizzare l’audio di uno dei pochi interventi tenuti dal grande Eduardo De Filippo, di cui ricorreva il centenario della nascita, perché soltanto noi l’avevamo. Anche il CSM, dall’84 ad oggi, viene seguito quotidianamente soltanto da Radio Radicale, per quanto riguarda l’attività del plenum, della sezione disciplinare e delle altre commissioni di cui viene richiesta la registrazione. Si tratta di un patrimonio inestimabile, che rischia di essere messo in discussione da questa scelta governativa. 

Che cosa dunque non possiamo perdere sul piano della democrazia dell’informazione? 
Qualche tempo fa Radio Radicale ha chiesto al Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, se avesse mai pensato al fatto che questa scelta del suo Governo avrebbe messo a rischio la memoria di tutta la storia dei processi più importanti d’Italia, contenuti integralmente nel nostro archivio (dal processo Moro al processo Andreotti, per fare soltanto alcuni esempi). E non solo per il loro valore storico, ma anche per quello giuridico, se si pensa alla forma del rito, poiché nell’89 si è passati dal codice Rocco al codice Vassalli. Il rischio per la democrazia è quello della perdita della memoria della propria storia, cioè della consapevolezza di quello che è stato e di quello che è. Credo che tutto questo si commenti da sé. 

Farai altre campagne, su Radio Radicale, per la tutela delle vittime del lavoro e per la prevenzione degli incidenti? 
Noi, finché andremo avanti, assolutamente sì. È nostro dovere raccontare quello che succede ogni giorno. Purtroppo le statistiche sono fredde, ma anche efficaci nel raccontare una realtà, come quella dei morti sul lavoro, che non mi sembra faccia dei grossi progressi, anche alla luce di tutto quello che non viene raccontato e che non rientra nelle statistiche ufficiali. Per quanto ci riguarda, senza voler essere paladini di nulla, svolgiamo il nostro dovere nell’esercizio del diritto di cronaca di un mondo che tocca ognuno di noi, come accade per la terribile piaga delle morti bianche, come si chiamavano una volta. Per fortuna una campagna meritoria di Articolo 21 ha messo in disuso il termine “morti bianche”, che rischia di alleggerire la gravità del fatto che ci sono persone che vengono uccise dal lavoro. La condizioni sono prevalentemente dovute alla illegalità e alla mancanza delle condizioni di sicurezza. In questo senso, se c’è un margine che può ancora essere ampiamente colmato, è quello della formazione. Per questo condivido la necessità di portare nelle scuole l’insegnamento dell’educazione civica, magari anche attraverso l’ascolto di Radio Radicale. E penso che, all’educazione civica, vada affiancata anche quella alla sicurezza sul lavoro perché, soprattutto nelle scuole professionali, c’è un problema culturale che tocca i lavoratori, oltre a coloro che hanno le principali responsabilità nel mondo del lavoro. Pertanto, nel nostro piccolo o grande che sia, intendiamo andare avanti su questa strada perché – lo ripeto – non stiamo facendo una battaglia eroica, ma un dovere di informazione di quello che succede e di quello che non deve succedere.

Vuoi inviare un messaggio alle vittime del lavoro?
Penso che il messaggio che deve arrivare alle vittime degli incidenti sul lavoro, da parte del mondo dell’informazione, è quello di un impegno ad essere onesti per cercare di capire, e quindi di raccontare, perché succedono fatti così gravi. È quanto abbiamo fatto proprio con l’inchiesta svolta da Daniela Sala, ma ce ne sono state anche altre. La finalità era quella di costruire una sorta di schede didascaliche per spiegare perché accadono simili tragedie. 

Per concludere, quale messaggio vuoi inviare al mondo politico perché non limiti la libertà di informazione con la cancellazione delle voci libere? 
Mi rivolgo principalmente al Parlamento, ai rappresentanti di Camera e Senato, che sono le sole istituzioni che i cittadini hanno sempre potuto eleggere direttamente perché non c’è mai stata l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. L’Italia è una Repubblica Parlamentare e il Parlamento è l’istituzione più importante del nostro ordinamento. Per questo l’appello che faccio ai parlamentari è di non cancellare la loro voce attraverso la perdita di un servizio che Radio Radicale svolge ininterrottamente da 42 anni. Questo è il punto essenziale perché l’esistenza di Radio Radicale rappresenta la garanzia per i cittadini di conoscere quanto accade nelle istituzioni democratiche di questo Paese. Perdere questa voce rischia di indebolire ulteriormente un Parlamento che già adesso – ma non solo con questo Governo perché si tratta di una tendenza che va avanti da diverse legislature – ha perso gran parte del suo potere legislativo perché sono sempre di più le leggi di iniziativa governativa rispetto a quelle di iniziativa parlamentare. Il messaggio è dunque questo: Radio Radicale rappresenta la possibilità di far vivere meglio le istituzioni, perché più conosciute dai cittadini e di far vivere meglio i cittadini, perché più consapevoli di quanto accade nella vita delle istituzioni. E concludo con il motto di Radio Radicale, di einaudiana memoria: “Conoscere per deliberare”.  


Luce Tommasi

15 marzo 2019