Si aggrava lo stress da lavoro post pandemia di F. D’Amico

I ritmi di lavoro e le pressanti condizioni in cui hanno dovuto operare gli addetti di molti settori produttivi durante il Covid-19 hanno determinato conseguenze di rilievo sulla loro salute mentale.

Il prezzo pagato dal mondo del lavoro in termini di decessi e infortunati, i danni economici e sociali oltre agli enormi costi sanitari e di varia altra natura, rappresentano solo la parte tangibile, visibile dei danni causati dalla pandemia.
I ritmi di lavoro e le pressanti condizioni in cui hanno dovuto operare gli addetti di molti settori produttivi (in particolare quelli delle strutture sanitarie) hanno determinato conseguenze di rilievo sulla loro salute mentale. E gli strascichi si fanno sentire soprattutto oggi in periodo di post pandemia (anche se in effetti non sembra ancora che tale periodo sia del tutto concluso).
Alcuni giorni fa (12 ottobre 2022), in occasione della “Giornata mondiale della salute mentale”,  Eu-Osha  (Occupational Safety and Health Administration) ha presentato i risultati dell’ultima indagine “Stress, salute e sicurezza sul lavoro post pandemia”. L’indagine è stata condotta dal 25 aprile al 23 maggio 2022 e ha coinvolto, tramite interviste telefoniche, 27.250 lavoratori dipendenti in tutti gli Stati dell’Unione europea, più Islanda e Norvegia.
Il risultato di maggior risalto e preoccupazione che emerge dall’indagine è che dopo la pandemia ben il 44% dei lavoratori europei ha avvertito un aggravio nella percezione dello stress da lavoro.
Tuttavia, un aspetto positivo è dato dal fatto che circa il 50% degli intervistati ha rilevato come sia diventato più semplice poter parlare di salute mentale dopo la pandemia (percentuale che sale al 63% in Italia) e come, nei luoghi di lavoro, ci sia stata una buona attenzione nei confronti di queste problematiche: il 38% degli intervistati ha ricevuto apposita consulenza e supporto sullo stress lavorativo, il 42% è stato coinvolto in iniziative di informazione e formazione. Emerge, inoltre, come i lavoratori ritengano necessario adottare misure di prevenzione specifiche contro lo stress: l’81% degli intervistati ritiene fondamentale l’attuazione di norme mirate per la salute mentale dei lavoratori, ma afferma anche che, fortunatamente, tali problemi di sicurezza vengono affrontati tempestivamente sul posto di lavoro.
I risultati dell’indagine OSHA, che come detto hanno interessato i lavoratori dell’Unione Europea nel loro insieme, risultano sostanzialmente in linea con la ricerca, tutta italiana, dell’Osservatorio Sanità di UniSalute, condotta nell’estate 2022 insieme a Nomisma, su un campione rappresentativo di 1.200 persone.
In generale, il 42% dei lavoratori italiani intervistati accusa, dopo la pandemia,  problemi di stress con una certa frequenza, dichiarando di avere molti alti e bassi di umore o di essere giù di morale per la maggior parte della giornata.
Per un italiano su tre (34%) lo stress è una condizione cronica, il 26% dichiara di sentirsi stressato spesso e il 9% addirittura ogni giorno. Il 67% del campione ha avuto, almeno qualche volta, problemi di sonno, il 23% prova spesso stati di ansia o di eccessiva apprensione.
I fattori che scatenano stress e apprensione riguardano soprattutto la situazione economica familiare e l’aumento dei prezzi, che preoccupano fortemente oltre il 40% degli intervistati; è fonte di stress anche la gestione degli impegni familiari, indicata dal 33% del campione e di conseguenza l’equilibrio tra lavoro e vita privata (21%).
Per la fascia di popolazione più anziana, fonte di disagio è soprattutto la solitudine, di cui soffre più della metà delle persone over-60 (52%). Si tratta di disturbi che possono comportare conseguenze disastrose come la depressione e il burnout che, soprattutto nei luoghi di lavoro, si traduce spesso in frustrazione, agitazione e fretta, compromettendo seriamente la sicurezza. Inoltre, se la condizione di stress persiste in modo prolungato può portare, oltre che a problemi di natura mentale, anche a  patologie cardiovascolari o scompensi muscolo scheletrici.  
A fronte di tutte queste situazioni che emergono dalle indagini e che danno conto di una significativa diffusione del fenomeno nel Paese, non sembra tuttavia che in concreto vi sia una parallela rispondenza dal punto di vista statistico di quella che è una vera e propria malattia professionale riconosciuta e tutelata dall’Istituto assicuratore. Dai dati pubblicati dall’INAIL, relativamente all’ultimo quinquennio, risulta che negli anni precedenti la pandemia da Covid (2017-2019) sono state presentate appena circa 500 denunce/anno di Disturbi psichici da parte dei lavoratori; negli anni della pandemia (2020-2021) le denunce sono scese addirittura sotto i 400 casi/anno. In particolare, le denunce relative ai disturbi psichici legati strettamente allo stress sono state circa 400 negli anni pre pandemia, scese a circa 300 negli anni della pandemia; va detto che in questi ultimi due anni il calo delle denunce risulta generalizzato per tutte le patologie di origine professionale.
Nel 2022 si sta assistendo ad una decisa ripresa delle denunce di malattie professionali: nei primi otto mesi dell’anno, rispetto all’omologo periodo 2021, si registra un incremento generale dell’8%. Ma questo non vale per i Disturbi psichici che, nello stesso periodo, fanno segnare un ulteriore calo di denunce del 17,5%: una situazione che appare in nettissimo contrasto con quanto emerso dalle indagini viste.   
È evidente, pertanto, che ci sono grossi problemi nella effettiva emersione del fenomeno che creano danni soprattutto in termini di tutela non solo economica, ma anche in termini di  sostegno e di riabilitazione psicofisica  che INAIL garantisce ai propri assicurati. Si riscontra, dunque, un notevole gap nel rapporto “domanda-offerta” causato, molto probabilmente, dalla sottovalutazione della patologia da parte del lavoratore e dalla sua scarsa consapevolezza sia della potenziale gravità dei disturbi che possono apparire inizialmente anche poco rilevanti, sia dei propri diritti in termini di tutela assicurativa. Dall’altra parte, c’è sicuramente una carenza di informazione sui rischi da stress lavorativo da parte sia della parte datoriale ma, soprattutto, dalle parti sociali e dalle organizzazioni impegnate nella tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.