“Non è un paese per donne” di Franco D’Amico

L’inspiegabile “gender gap” sociale ed economico delle donne italiane.

10 dicembre 2019 – Da molti decenni ormai le donne italiane hanno raggiunto notevoli ed importanti traguardi all’interno della società, ma detengono ancora un potere sociale, economico e politico del tutto inadeguato e sono ancora molto lontane dagli standard femminili dei Paesi occidentali più avanzati. E questo si riscontra in modo eclatante soprattutto nel mondo del lavoro.
Nel nostro Paese il più delle volte l’emancipazione della donna e la sua partecipazione al mercato del lavoro sono fortemente condizionate dal suo triplice ruolo di moglie-madre-lavoratrice; le difficoltà di conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di cura della casa e della famiglia rappresentano un ostacolo che non è soltanto culturale ma anche legato al ritardo con cui lo Stato stenta ad assumere una effettiva “funzione sociale integrale” nei confronti di tutti i cittadini e nel pieno rispetto delle specificità di genere. L’assistenza alla famiglia – specie se con figli, con anziani non autosufficienti o con disabili – è del tutto carente in termini di asili nido, orari di lavoro adeguati alle necessità di mogli e madri, strutture di sostegno per anziani e disabili, ecc.
In generale, sono le donne a farsi carico di compiti domestici, della cura dei figli o di parenti anziani o malati, impiegando in tali mansioni circa 22 ore la settimana contro le 9 ore degli uomini.
Il risultato, dunque, è che le donne presentano un gap occupazionale eclatante sia all’interno rispetto agli uomini, che all’esterno rispetto alle donne del resto d’Europa. E’ questo, in sintesi, quanto emerge dall’ultima fotografia scattata dal Censis sulla condizione femminile in Italia, che evidenzia in realtà una situazione già ben nota.
Intanto i numeri: lo studio del Censis, elaborato in massima parte su dati Istat e Eurostat relativi al 2018, ricorda che in Italia le donne che lavorano sono 9.768.000, il 42,1% degli occupati complessivi. Ebbene, il tasso di attività femminile, pari al 56,2%, è all’ultimo posto in Europa; le donne italiane sono molto lontane anche dal tasso di attività maschile italiano che è pari al 75,1%. Ancora,  rispetto all’UE nella fascia d’età 20-64 anni emerge che il nostro tasso di occupazione in rosa è pari al 53,1%, migliore solo di quello della Grecia.
Tra le giovani di 15-24 anni il tasso di disoccupazione è del 34,8:anche in questo caso è abissale la distanza con l’Europa, dove il tasso medio di disoccupazione per le donne è del 14,5%. In Germania scende addirittura al 5,1%, nel Regno Unito al 10,3%, in Francia al 20%; anche in questo caso la donna italiana si piazza al penultimo posto, seguita solo dalla Grecia (43,9%). Ma, come detto, il gap non è solo occupazionale.
La ricerca CENSIS ribadisce, infatti, che per le donne italiane lo studio non è sempre sufficiente per fare carriera. E’ assodato, infatti, che le donne italiane ottengono risultati più brillanti lungo tutto il percorso formativo rispetto ai colleghi maschi: per le ragazze, ad esempio, il voto medio di diploma è 78,3/100 contro 75,2 dei ragazzi; la quota di donne che si laureano è del 48% contro il 44% degli uomini e il voto medio di laurea è 103,2/110 per le prime e a 101,1 per i secondi. Eppure, le donne manager in Italia sono appena il 27% dei dirigenti: un valore molto al di sotto di quello medio europeo (33,9%).
Alla base di tutto, oltre agli anacronistici pregiudizi di genere, c’è sicuramente il fatto che per molte donne lavorare e formare una famiglia rimangono ancora oggi due percorsi paralleli e spesso incompatibili. Per questo il 32,4% delle donne occupate, cioè più di 3 milioni di lavoratrici, ha un impiego part time; nel caso degli uomini questa percentuale si riduce all’8,5%.
Di conseguenza, oltre al gap occupazionale, c’è da registrare anche il divario in termini di retribuzione.
Negli ultimi tempi la differenza salariale tra uomo e donna si sta riducendo, ma a ritmi lentissimi, tanto che nel lavoro il divario sembra quasi quello di due mondi paralleli. Lo dimostra il fatto che sebbene il ‘gender gap’, almeno nelle retribuzioni, stia registrando un leggero calo – passando dall’8,8% del 2014 al 7,4% del 2018 – le donne in Italia sono ancora le più coinvolte nei contratti part-time e non riescono neanche a trarre dal loro percorso di studi lo stesso vantaggio dei colleghi uomini.
In media, infatti, un laureato viene pagato per ogni ora di lavoro il 20% in più di un diplomato. Se il dato però si analizza facendo riferimento al genere, si scopre che per un uomo l’aumento retributivo orario legato alla laurea è del 32,6%, per una donna invece questa percentuale si ferma al 14,3%.
Questi risultati provengono dal Report Istat sui differenziali retributivi del 2018, anno in cui le donne con la laurea hanno registrato una retribuzione oraria inferiore di oltre 3 euro rispetto ai colleghi uomini. Lo svantaggio delle donne, ovunque evidente, è più marcato nel Nord-est, nel Centro e nel Nord-ovest.
A proposito del gap retributivo, Eurostat ha sviluppato un indicatore, denominato Gender overall earnings gap, che misura l’impatto di tre fattori tra loro combinati (guadagni orari, ore retribuite e tasso di occupazione) sul reddito medio di uomini e donne in età lavorativa. Nel 2016, il valore osservato del Gender overall earnings gap era del 39,6% nell’Unione europea e del 43,7% in Italia.
L’Unione europea ha sottolineato anche che in particolare in Italia le posizioni di alto livello nel mercato del lavoro sono principalmente in mano agli uomini, più pagati rispetto alle donne: e questo rappresenta un altro fattore che tende ad allargare ulteriormente il divario fra i guadagni dei due sessi. Le donne tendono poi ad essere temporaneamente escluse dal mercato del lavoro più spesso rispetto agli uomini: interruzioni di carriera di questo tipo vanno a influenzare non solo il salario orario, ma anche il versamento dei contributi previdenziali.
Il gender gap retributivo, dunque, si riflette poi necessariamente sugli importi delle pensioni. Percorsi lavorativi più accidentati e carriere meno brillanti determinano di conseguenza anche una differenza nei redditi da pensione. Nel 2018 le donne hanno percepito una pensione da lavoro per un importo medio annuo di 17.560 euro; per i pensionati uomini l’importo medio è stato invece di 23.975 euro, con un divario a sfavore delle donne di ben il 36,5%.

 

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