Alcuni giorni fa è stato pubblicato il 3° Rapporto annuale “Il mercato del lavoro 2019 – Una lettura integrata”, frutto della collaborazione tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail ed Anpal (Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro).
L’obiettivo del Rapporto è quello di valorizzare, integrandole ed armonizzandole, le varie informazioni sul mondo del lavoro derivanti, ciascuna per la parte di propria competenza, da fonti tra loro diverse ma, allo stesso tempo, complementari e coerenti. Il Rapporto si compone di 5 capitoli che trattano tematiche contigue e che nel loro insieme formano un mosaico molto articolato ed approfondito del quadro strutturale dell’economia e del lavoro in Italia, sulla base dei dati più aggiornati disponibili.
In estrema sintesi, il Rapporto mette in chiara evidenza una perdurante situazione di stallo del sistema economico–sociale italiano. Nel terzo trimestre 2019 si osserva, per il quarto trimestre consecutivo, una crescita congiunturale del PIL di appena lo 0,1%; mentre nel quarto trimestre 2019 vi è stata addirittura una riduzione dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e una modestissima variazione del +0,1% nel raffronto su base annua. Dal canto suo la crescita dell’occupazione, in linea con l’andamento del PIL, è proseguita a ritmi molto lenti raggiungendo comunque il massimo storico di 23,4 milioni di occupati che supera il livello del 2008 (anno di inizio della grave crisi economica), ma la quantità di lavoro impiegato rimane ancora sensibilmente inferiore a quell’anno. A differenza, infatti, della fase ciclica degli anni ’90, in cui occupazione e ore lavorate andavano sostanzialmente di pari passo, questa fase recente è caratterizzata da una lieve crescita del numero di occupati e da una discesa delle ore lavorate, riconducibile essenzialmente ad una caduta del lavoro a tempo pieno a favore di quello precario e part time.
Anche sul versante dell’andamento infortunistico, l’Inail traccia un quadro non certo esaltante. Nel corso dell’ultimo quinquennio disponibile, infatti, l’incidenza infortunistica risulta essere calata in misura praticamente marginale: dai 28,3 infortuni ogni 1.000 lavoratori del 2014 si è passati ai 26,3 del 2018; per i casi mortali, invece, l’incidenza si è mantenuta stazionaria sugli stessi identici livelli del 2014 (5,8 morti sul lavoro ogni 100.000 lavoratori).
Nel complesso si tratta dunque di un quadro sociale ed economico sostanzialmente fermo, senza alti né bassi o variazioni di rilievo significative. Una situazione di stallo che non riesce a spiccare il volo sia dal punto di vista economico che occupazionale; ma anche sul versante della sicurezza del lavoro dove non si intravedono segnali sostanziali di miglioramento.
Una situazione che, purtroppo, è destinata a peggiorare in misura imprevedibile. Quello che preoccupa tutti gli osservatori sono gli effetti che, oltre ovviamente a quelli umani, familiari e psicologici, potranno derivare dalla tempesta in atto costituita dalla pandemia di Coronavirus che, sicuramente sarà destinata a produrre una crisi economica a livello mondiale molto peggiore e duratura di quella già vissuta, per altri motivi, nel 2008.
L’impatto dell’epidemia di coronavirus avrà effetti ancora più devastanti sulle economie fragili come quella del nel nostro Paese, che tra l’altro risulta essere tra i più colpiti dalla pandemia.
Le ultime stime arrivano dall’istituto Ref Ricerche che qualche settimana fa aveva stimato una contrazione del Pil nel primo semestre 2020 compresa tra -1% e -3%, ma poi, col peggiorare della situazione, ha sensibilmente rivisto al ribasso la stima del PIL portandola a -8%.
Leggermente meno pesanti le stime elaborate da Prometeia che, a fine 2020, prevede un calo del PIL del 6,5% con un rapporto debito/Pil che salirà al 150%.
Peraltro, le ipotesi degli istituti italiani sono più “confortanti” di quelle avanzate negli ultimi giorni da Goldman Sachs che ha previsto per l’Italia un calo dell’11,6% del PIL nel 2020.
Anche sul piano occupazionale ci dobbiamo aspettare notizie non positive, soprattutto alla luce di una situazione che al momento vede bloccati i traffici nazionali e internazionali, ferme gran parte delle attività industriali, così come il turismo (uno dei punti di forza del nostro sistema produttivo).
In questo clima, cresce inevitabilmente anche la sfiducia in una soluzione positiva della crisi: quasi la metà degli italiani, il 44%, è preoccupata di perdere il lavoro a causa degli effetti generati dalla diffusione del #coronavirus. È quanto emerge dall’Osservatorio dell’istituto Swg che ha sondato le opinioni della popolazione a poco più di un mese dallo scoppio dell’emergenza. Il dato sale poi al 53% se si considerano gli imprenditori convinti che la propria azienda o attività economica possa subire comunque conseguenze negative se non addirittura irreparabili.
Se tuttavia volessimo trovare un solo aspetto positivo in questa immane tragedia che sta devastando il Paese, potremmo dire che il crollo della produzione e delle ore lavorate avrà sicuramente come conseguenza diretta una drastica riduzione di infortunati e di morti sul lavoro, in misura enormemente superiore a quella già verificatasi negli anni della crisi economica del 2008, quando si contarono diminuzioni anche superiori al 10% annuo. Ma se non possiamo che accogliere con favore il risparmio che deriverà in termini di infortunati e di vite umane, resta comunque il rammarico che tali circostanze si debbano verificare solo a seguito di eventi eccezionali negativi e non già in virtù di un significativo miglioramento dei livelli di sicurezza negli ambienti di lavoro.