COMUNICATO STAMPA
SPAGNUOLO (ANMIL): IL PROCESSO PER LA MORTE DI MIO MARITO
IN UN ITER KAFKIANO LUNGO PIÙ DI 10 ANNI
Roma, 16 dicembre 2021 – Domani, venerdì 17 dicembre, si svolgerà a Roma l’udienza di appello del processo per la morte del lavoratore Giuseppe Esposito, avvenuta l’11 maggio del 2011 a seguito di una caduta da un’altezza di 12 metri dal tetto di un capannone a Penitro di Formia (LT). Da quel giorno sono passati oltre 10 anni e Debora Spagnuolo, Vice Presidente nazionale ANMIL, porta avanti una battaglia che non è solo personale, essendo Giuseppe Esposito suo marito, ma per tutte le vittime del lavoro che, come lei, attendono da anni di avere giustizia.
A poche ore dall’udienza, Debora Spagnuolo si appella alle istituzioni e a quanti sono a conoscenza delle difficoltà di avviare un processo per famiglie in condizioni economiche spesso non così “floride” e in grado di farsi assistere per anni da un legale competente, e dichiara: “Giuseppe aveva solo 37 anni e tutta una vita davanti. Nessuna sentenza potrà mai restituirlo a me e ai suoi cari, ma il minimo che lo Stato può fare per noi è arrivare ad una pronuncia definitiva in tempi accettabili e 10 anni non possono esserlo. Quanto dovrò ancora aspettare per sapere perché mio marito è morto e siano riconosciute le responsabilità del suo infortunio?”.
Un ruolo, quello di Vice Presidente nazionale ANMIL, che rappresenta una battaglia che Debora Spagnuolo porta avanti incessantemente da quel giorno luttuoso. Uno dei tanti, troppi, casi di infortunio mortale sul lavoro che non trova giustizia con il passare degli anni.
“Questi processi interminabili per noi familiari sono un ulteriore supplizio” – continua Spagnuolo – “perché ci costringono a rivivere le nostre tragedie udienza dopo udienza, nella paura che il tempo che passa porti alla prescrizione. Ho rifiutato qualsiasi accordo perché voglio che eventuali responsabilità vengano riconosciute in sede giudiziale. Non mi fermerò e ringrazio l’ANMIL e tutte le persone che mi sono vicine per darmi ogni giorno la forza di andare avanti”.
La vicenda giudiziaria che la Vicepresidente ANMIL sta affrontando da anni con grande determinazione è di seguito presto riassunta: dal decreto di citazione in giudizio del 29 aprile 2013, è stata dapprima soppressa la sezione distaccata del Tribunale di Latina a Gaeta e quindi deciso il rinvio al Tribunale di Latina dove si verificavano diverse sostituzioni del giudice titolare e l’udienza di verifica delle questioni preliminari arriva solo il 9 gennaio 2017. Il dispositivo viene letto il 18 maggio dell’anno successivo con termine di 90 giorni per il deposito della sentenza e la motivazione viene depositata il 4 luglio 2019, solo dopo sollecito informale alla cancelleria. Arriviamo al 27 luglio 2019 per l’appello dell’imputato e l’udienza in Corte di appello è datata 17 dicembre 2021 a seguito del deposito della richiesta di fissazione dell’udienza da parte del difensore della parte civile, ovvero la nostra Associazione che ha avviato ormai da una decina di anni questo tipo di azioni proprio per sostenere le vittime ed affiancarle in questa lotta. Nel giudizio di primo grado non è stata ammessa la citazione dei responsabili civili (cioè le aziende degli imputati) e viene richiesta dal P.M. di primo grado una pena di un anno e sei mesi mentre il Giudice emette sentenza di condanna a due anni e sei mesi. Nel frattempo muore uno degli imputati e non si saprà mai se, alla resa dei conti, non saranno chiuse o fallite le società del committente e del datore di lavoro.
Dunque l’udienza di domani è l’occasione per ribadire ancora una volta la battaglia dell’ANMIL contro l’inaccettabile lunghezza dei tempi processuali che, oltre a rafforzare l’angosciante rischio della prescrizione, obbliga i familiari delle vittime ad un continuo reiterarsi del dolore di una perdita altrettanto inaccettabile e per cui nessuno è responsabile.
A novembre il tema è stato oggetto di un’audizione parlamentare congiunta della Commissione Giustizia e della Commissione Lavoro del Senato, presieduta dalla Senatrice Susy Matrisciano, che oggi dichiara con fermezza: “La durata dei processi deve essere ricondotta al criterio della ragionevolezza, tempi troppo lunghi rischiano di ledere tutte le parti coinvolte nel procedimento senza soddisfare le richieste di giustizia dei cittadini, cosa più volte sottolineata anche dalla Cedu che in passato ha condannato l’Italia per questo genere di violazioni. In questo quadro generale, si inserisce, quindi, anche l’idea di istituire una procura nazionale del Lavoro: è una esigenza che risponde non solo alla necessità di individuare un organismo specializzato in ambito giuslavoristico e circa le violazioni delle norme sul lavoro, ma soprattutto a quella di soddisfare quella domanda di giustizia, che troppo spesso rischia di restare inevasa, senza risposta o peggio ancora di esaurirsi con la prescrizione dei reati ascritti”.
“La nostra Associazione che da quasi 80 anni si occupa della tutela delle vittime del lavoro e raccoglie oltre 300.000 iscritti continuerà questa battaglia per l’istituzione di una procura dedicata – afferma Zoello Forni, Presidente nazionale ANMIL – e avvieremo a breve una raccolta di firme tra quanti, a vario titolo, hanno dovuto vedere calpestare i propri diritti e negare ogni dignità alla memoria di vittime innocenti ed evitabili a causa della prescrizione dei reati”.
Marinella de Maffutiis
Resp. Ufficio Stampa ANMIL