Rapporto annuale Istat: i dati sul lavoro (povero)

Roma, 12 luglio 2022 – L’8 luglio scorso, Istat ha presentato a Palazzo Montecitorio il ‘Rapporto annuale 2022. La situazione del Paese’. Alcune sezioni del Rapporto offrono un quadro molto critico sulla situazione del lavoro in Italia.
A livello occupazionale, tra il 2019 e il 2020, il nostro Paese ha registrato la riduzione più forte di occupati tra i Paesi europei. Tuttavia, dal 2021 la situazione è progressivamente migliorata, permettendo di recuperare quasi pienamente i livelli pre-crisi. A pagare il prezzo più alto, in termini occupazionali, sono state le donne: un aspetto, come evidenzia Istat, del tutto peculiare tra i Paesi europei. Un’altra categoria particolarmente colpita da forti perdite occupazionali è quella dei giovani, generalmente impiegati in lavori precari: nella media europea, si è registrato un calo degli occupati con meno di 25 anni quasi tre volte superiore a quello registrato per i 25-54enni.
Con la ripresa economica, la situazione occupazionale di donne e giovani è migliorata ma il mercato del lavoro nazionale continua ad essere marcatamente disuguale: i giovani (25-34 anni) non raggiungono ancora i livelli occupazionali del lontano 2007 e la metà delle donne non lavora.
Oltre alle criticità legate all’occupazione, particolarmente allarmante è il dato sulle disuguaglianze nelle forme lavorative. In generale, il lavoro standard (ossia il lavoro dipendente a tempo indeterminato oppure autonomo con dipendenti) è in diminuzione, tanto che nel 2021 riguardava solo 6 occupati su 10. Il calo riguarda anche il lavoro indipendente (1/5 degli occupati) mentre aumenta il lavoro dipendente a tempo determinato con contratti di breve durata (pari o inferiore ai 6 mesi). A preoccupare è anche l’aumento molto consistente dell’occupazione part-time (1/5 degli occupati), quasi sempre involontaria. Dalla diffusione di queste forme contrattuali discende il fatto che quasi 5 milioni di occupati (1/5 del totale) sono non standard, tra i quali moltissimi sono giovani, stranieri, donne, lavoratori con basso livello di istruzione e residenti nel Mezzogiorno.
La diffusione del lavoro non standard contribuisce in maniera consistente al deterioramento dei livelli retributivi: è infatti la combinazione tra retribuzione oraria bassa e contratti di lavoro brevi a restituire livelli di retribuzione annuali molto ridotti. Numeri alla mano, circa 4 milioni di dipendenti nel settore privato percepiscono una retribuzione teorica lorda inferiore a 12 mila euro e quasi 1/3 dei dipendenti ha una retribuzione bassa.
I settori più colpiti dai bassi livelli retributivi sono soprattutto gli ‘altri servizi’ (es. organizzazioni associative, attività di servizi per la persona, riparazione di beni per uso personale e per la casa), quelli di supporto alle imprese e di intrattenimento, alloggio e ristorazione e istruzione privata. Inoltre, Istat evidenzia che le imprese che garantiscono livelli retributivi elevati sono quelle che utilizzano tipologie contrattuali a tempo pieno e indeterminato.
La panoramica sul lavoro è utile per comprendere quali sono le cause principali degli elevati livelli di povertà nel nostro Paese. Sono proprio le modalità di partecipazione al mercato del lavoro a rappresentare un fattore-chiave sulle condizioni di povertà: reddito da lavoro insufficiente, precarietà lavorativa e, successivamente, una pensione esigua hanno portato all’aumento dei livelli di povertà in Italia. Si pensi che, nel biennio 2020-2021, la povertà assoluta ha raggiunto i livelli più elevati dal 2005, interessando 5 milioni e mezzo di persone. La povertà, poi, cambia faccia: diminuisce tra gli anziani soli, rimane stabile per le coppie di anziani ma cresce marcatamente tra le famiglie, anche mono-genitoriali.

(Fonte, Istat, 8 luglio 2022)