Pubblicata la direttiva europea sul salario minimo: quale attuazione in Italia?

Roma, 26 ottobre 2022 – Dopo un complesso percorso legislativo, è stata finalmente approvata, e pubblicata, la direttiva (UE) 2022/2041 “relativa a salari minimi adeguati nell’Unione europea”.
Sono passati ben due anni – era l’ottobre 2020 – dal lancio della proposta di direttiva da parte della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
L’emergenza sanitaria prima, e la crisi energetica poi, hanno in realtà sortito una accelerazione all’iter di approvazione di fronte all’aumento delle disuguaglianze sociali e di reddito causate dal difficile momento storico.
Anzitutto, la direttiva non fissa un salario minimo europeo, né tantomeno richiede l’armonizzazione dei meccanismi nazionali di calcolo dei sistemi legali, dove previsti.
A tal proposito, è ormai noto che l’Italia è uno dei (pochi) Stati che non ha introdotto un salario minimo legale, insieme alla Danimarca, alla Finlandia, alla Svezia, all’Austria e a Cipro. Tuttavia, nonostante la maggior parte degli Stati lo prevedano, la direttiva evidenzia che non esiste una correlazione diretta tra salario minimo legale e reddito dignitoso (considerando 13).
Alla luce di questo quadro, la nuova direttiva introduce alcune disposizioni rivolte a tutti i Paesi membri, e altre rivolte esclusivamente agli Stati con un salario minimo legale.
Nel primo ambito, sono di portata trasversale le misure dedicate alla promozione della contrattazione collettiva per la creazione e il rafforzamento delle tutele salariali. Gli Stati dovranno aumentare la copertura contrattuale e definire un piano d’azione affinché tale copertura sia almeno pari all’80% dei lavoratori (articolo 4).
Nel secondo ambito, invece, gli Stati che prevedono un salario minimo legale devono seguire i criteri per la loro determinazione elencati nell’articolo 5. Questi sono: il potere d’acquisto dei salari minimi legali, tenuto conto del costo della vita; il livello generale dei salari e la loro distribuzione; il tasso di crescita dei salari; i livelli e l’andamento nazionali a lungo termine della produttività.
Inoltre, gli Stati possono utilizzare i valori di riferimento indicativi comunemente utilizzati a livello internazionale (ossia, il 60 % del salario lordo mediano e il 50 % del salario lordo medio).
In aggiunta, sono previste limitazioni sulle variazioni salariali minime e sulle trattenute (articolo 6), che comunque devono essere decise mediante il coinvolgimento delle parti sociali (articolo 7).
La partecipazione delle parti sociali è inoltre prevista in caso di adozione di misure che garantiscano l’accesso effettivo dei lavoratori ai salari minimi legali, soprattutto attraverso controlli e ispezioni efficaci (articolo 8).
È evidente che l’Italia dovrà rispettare esclusivamente le disposizioni sulla promozione della contrattazione collettiva, posto che nel nostro ordinamento non è previsto il salario minimo legale. Al riguardo, è vero che la copertura contrattuale in Italia si aggira intorno all’80%, ma la proliferazione dei contratti non standard, nel lavoro subordinato e autonomo, e di contratti collettivi dalla dubbia rappresentatività hanno accesso un ampio dibattuto sulla opportunità di introdurre un salario minimo legale anche nel nostro Paese.

 

Per approfondire si rinvia al testo della nuova direttiva (UE) 2022/2041 (Fonte: Gazzetta Ufficiale UE, 25 ottobre 2022)