La bella storia di un giovane che, fra uno scatto e l’altro, gioca nella nazionale di calcio amputati
Voleva fare il geologo e si è ritrovato fotografo. Tra il prima e il dopo c’è stato un incidente sul lavoro che gli è costato la perdita di una gamba. Aveva solo 25 anni David Bonavanturi e un gran bisogno di lavorare. Ha accettato così di fare il boscaiolo, anche se non aveva mai tagliato un albero. Con lui, al momento della tragedia, c’era il titolare dell’impresa che lo aveva assunto senza patentino. È incominciata con una settimana in coma, l’amputazione di un arto e oltre un mese di convalescenza la nuova vita di un ragazzo che è riuscito a trasformare la sua disgrazia nella scoperta di un talento che non sapeva di avere: la fotografia. È stata questa la terapia quotidiana di David, un giovane nato a Lucca nel 1987 che parla poco e trasforma ogni emozione in un clic.
Come è stata la tua storia prima e dopo l’incidente?
– Io andavo all’università e studiavo geologia. Poi ho incominciato a convivere con una ragazza e a lavorare in una cooperativa per mantenermi. Era il marzo del 2012 quando ho trovato lavoro come boscaiolo, senza avere la qualifica obbligatoria. Con me, al momento dell’incidente, c’era il padrone dell’impresa e il caso ha voluto che, a poche ore dalla disgrazia, sia arrivato l’Ispettorato del lavoro, che ha potuto vedere il luogo dell’infortunio che il giorno dopo non sarebbe più stato lo stesso. Tutte le responsabilità sono ricadute pertanto sul titolare che, a conclusione del processo, è stato condannato anche alla reclusione. Dopo l’amputazione della gamba sinistra, sono andato a Budrio per fare la protesi ed è stato proprio durante la mia convalescenza che, per distrarmi e riprendere un po’ di vita, ho comprato una macchina fotografica reflex e, da quel momento, piano piano è incominciato il mio nuovo e attuale lavoro. Posso dire che la mia compagna, in tutti questi anni, mi è stata vicina e tuttora conviviamo.
Se potessi tornare indietro che cosa non rifaresti? Con gli occhi del poi come vedi quanto ti è accaduto?
– Ho difficoltà a rispondere perché non è facile trovarsi in quella situazione. Bene o male ho avuto bisogno di lavorare e ho accettato condizioni che non avrei dovuto accettare. Il mio monito va al sistema Italia affinché garantisca che non avvengano fatti come questi. Capisco le persone che, pur di lavorare, mettono in conto anche il rischio perché un lavoratore, da solo, non sempre ha la forza di dire di no. È il Paese che deve dare le tutele necessarie.
C’è qualcosa che adesso hai e che prima non avevi?
– Ora sono un fotografo paesaggista e sportivo. Collaboro con molti enti pubblici, giro per tutta l’Italia e seguo tanti sport, a cominciare dal campionato italiano di rally. Non ho più fatto il geologo e dopo l’incidente ho cambiato vita perché ho scoperto di avere dei talenti che non conoscevo. Dall’infortunio sono nate situazioni che sono diventate occasioni da sfruttare. Adesso ho qualcosa che prima non sapevo di avere. Mi sento realizzato e questa nuova vita mi piace.
Con quale occhio ti metti di fronte ad un obiettivo? Che cosa muove quel clic?
– È l’emozione che provo in quel momento e che voglio far provare. Parte tutto da dentro. Più che sul livello tecnico, che pure è importante, io punto sull’emozione.
Perché hai partecipato alla conferenza stampa di presentazione della 69esima Giornata nazionale dell’ANMIL per le vittime del lavoro?
– Era un appuntamento importante e quando Max Mallegni, presidente dell’ANMIL di Lucca e Vice Presidente di ANMIL SPORT Italia, mi ha segnalato l’evento sono stato contento di partecipare, insomma di esserci.
Se dovessi riassumere in uno scatto la conferenza, che momento sceglieresti?
– Sicuramente la testimonianza del mio compagno Andrea Lanari. Mi sono ritrovato nelle parole che ha detto, ma soprattutto nelle reazioni che il suo intervento ha suscitato nelle persone presenti. Secondo me è stato questo il momento più importante della giornata e questo l’obiettivo da raggiungere. Se avessi portato la mia testimonianza, avrei detto le stesse cose. Ecco perché fotograferei sia l’intervento di Andrea, sia le emozioni suscitate fra il pubblico. Anche io vado nelle scuole come testimone dell’ANMIL ed è molto importante il racconto di chi ha vissuto in prima persona un incidente sul lavoro.
Quando è avvenuto il tuo incontro con l’ANMIL e quali opportunità ti ha dato l’Associazione?
– Ho conosciuto l’ANMIL qualche anno fa. Pur sapendo dell’esistenza di questa associazione, dopo l’incidente non avevo avuto occasione di allacciare un contatto diretto. L’occasione è arrivata ad una festa dello sport che io stesso avevo organizzato. Sono tanti i progetti che abbiamo portato avanti insieme, a cominciare dalla mostra “Oltre il dolore”, nell’ambito del progetto IRFA, in cui ho esposto le mie foto sui temi della disabilità e della forza di volontà. La rassegna, che è partita da Lucca, adesso sta girando in vari comuni toscani.
Pensi che l’arte sia un veicolo per sensibilizzare le persone?
– Ogni forma artistica può essere uno strumento importante per portare le persone alla consapevolezza, soprattutto se riesce a stimolare sensibilità ed emozioni.
Qual è stata la chiave per ricominciare dopo l’incidente sul lavoro che ti ha cambiato la vita?
– La chiave è stata non guardare indietro, ma sempre al futuro e soprattutto non piangermi addosso.
Hai progetti per il futuro?
– A livello fotografico c’è qualcosa che si muove, ma è ancora in fase di sviluppo. Per ora non ne posso parlare.
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